“Tutta bella sei, o Maria, in te non c’è alcuna macchia dell’antica colpa”. Così la liturgia da tempi lontani canta in onore di Maria. Al centro di questo tradizionale canto del Tota pulchra sta l’elogio della bellezza di Maria. Ma da dove ha origine questo elogio della bellezza di Maria che oggi la Chiesa celebra in tutte le chiese L’elogio della bellezza di Maria è già presente nell’annuncio dell’Angelo, che abbiamo sentito proclamare questa mattina nel Vangelo della Messa: “Rallegrati, piena di grazia”. In originale greco è echaritomene, che vuol dire “graziosissima”.
Don Tonino Bello, l’indimenticabile vescovo di Molfetta, ne era talmente sicuro che in un suo libro le ha dedicato un capitolo con il titolo “Donna bellissima”, e ha iniziato una preghiera con queste parole: “Santa Maria, donna bellissima, attraverso te vogliamo ringraziare il Signore per il mistero della bellezza”.
Ma dove sta la bellezza di Maria? Ricordo un bel episodio, capitato ad una ragazzina che, di ritorno da scuola, dice a sua madre: “mamma, voglio dipingere il Signore. Ma com’è il Signore?”. E la mamma, prima sorpresa e poi attenta a non deludere la figlia, dice: “il Signore è ciò che di più buono, vero, bello esiste…”. Ma la bambina, già pronta con la matita e il foglio di disegno, conclude: “mamma, non voglio dipingere il Signore, perché ho paura di sciuparlo”.
La bellezza di Maria sta nel fatto che non ha preteso lei di disegnare il volto del Signore. Ma è il Signore che ha voluto Lui stesso dipingere il volto di Maria, progettarne la storia fino a preservarla da ogni macchia di peccato, per farne la dimora del suo stesso Figlio Gesù. C’è un proverbio latino che dice che i figli assomigliano alla madre: “filii matrizant”. Ma, nel caso di Maria, si deve dire, al contrario, che in lei c’è una madre che prende fisionomia dal Figlio. In Maria, Dio
ha fatto in modo che si rispecchiasse qualcosa — molto — della bellezza del Figlio suo Gesù.
Certo, Maria agli occhi del Signore gode di una bellezza singolare, perché, unica al mondo, ha generato anche corporalmente il Figlio Gesù. Come si esprimeva il santo vescovo Ambrogio di Milano, Maria non ha generato il Figlio Gesù solo nel corpo, ma prima ancora nella fede. Come? Rispondendo all’Angelo: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”.
Non solo a Natale, nella grotta di Betlemme, Maria ha generato il suo Figlio Gesù. Ma lo ha, per così dire, generato lungo tutta la vita, standogli accanto nelle varie tappe: a Nazareth quando “cresceva in sapienza e grazia presso Dio e gli uomini”; a dodici anni nel suo primo pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme; al banchetto di nozze a Cana, quando Gesù fece il suo primo miracolo, e così fino alla morte in Croce, quando Gesù “vedendo sua madre e il discepolo che Gesù
amava disse: Madre ecco tuo figlio, e, figlio ecco tua madre”. Ma la bellezza di Maria non finisce in Maria. La maternità spirituale di Maria continua dunque nella Chiesa e arriva fino a noi. Come?
C’è un episodio nella vita di Maria che più da vicino ci introduce nel cuore del nostro essere qui in assemblea straordinaria a chiusura del processo diocesano di beatificazione del servo di Dio don Alfonso Ugolini. L’episodio ci è stato proclamato dalla breve lettura del Vangelo di Marco (3,31-35): “In quel tempo, mentre Gesù stava parlando in casa, giunsero sua madre e i suoi fratelli, e, stando
fuori, mandarono a chiamarlo”. Così riferiscono a Gesù: “Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle, stanno fuori e ti cercano”.
Non vorrei peccare di immaginazione ma io amo pensare che Gesù sia poi uscito dalla casa, e vedendo la madre e i familiari che se ne stavano fuori, li abbia invitati ad entrare in casa, tra la folla dei suoi discepoli. Qualcuno potrebbe dire: “E Maria? Come mai non si trovava già nella casa, nel cerchio più intimo della nuova comunità dei discepoli, ma fuori con gli altri?”.
Nessun dubbio che Maria già dall’annuncio dell’Angelo abbia incominciato a realizzare in sé la parola di Gesù: “Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre”. Anzi, lei è la prima a credere in Gesù, quando nessuno credeva, e qualche difficoltà c’era inizialmente perfino in Giuseppe. Io amo
pensare che già qui, all’inizio del ministero nella vita pubblica di Gesù, si rivela il compito di Maria nella Chiesa: quello di portare a Gesù, accompagnando quelli che ancora “stavano di fuori” verso lo spazio più interno, là dove con Gesù stanno i suoi discepoli, la sua nuova famiglia.
Come Maria nei confronti dei suoi familiari, altre figure possono avere oggi il compito di avvicinare a Gesù e alla sua Chiesa: chi accoglieva gli immigrati che nell’immediato dopoguerra arrivavano a Sassuolo, attirati dal boom delle ceramiche, e per i quali cercare lavoro, casa, solidarietà; chi — come Maria nella visita alla cugina Elisabetta — visitava gli ammalati nelle case, o li accompagnava in pellegrinaggio verso la grotta di Lourdes; chi ascoltava e consigliava i malati non solo nel corpo ma nei cuori spezzati da sofferenze e incomprensioni che arrivavano in pellegrinaggio qui a S. Giorgio al confessionale, da lui stesso
chiamato la sua “seconda casa”.
Voi avete capito benissimo che sto parlando di don Alfonso Ugolini, “Ugolino” come amavano chiamarlo familiarmente i suoi poveri di corpo e di spirito. Perché allora non pensare, guardare, riconoscere nella sua figura come un bel “sì” di Maria alla nostra Chiesa? E ringraziare il Signore che lo ha amato, guarito giovanissimo, chiamato al diaconato della carità e al sacerdozio della Parola, della Eucaristia e del ministero della consolazione, vedendo in lui un tramite, uno strumento, un ponte attraverso cui il Signore ha visitato il suo popolo?
Don Ugolini, pur riconoscendo i limiti della propria persona, della propria cultura, era consapevole di essere stato chiamato sin da bambino, sia nelle difficoltà, sia nell’incontro con le persone, a testimoniare la presenza e l’iniziativa di Dio in Gesù; a indicare instancabilmente Maria, la madre, come la via per
arrivare a Gesù. Maria è “il miglior punto di osservazione per amare, pregare, studiare Cristo”, direbbe Paolo VI.
Oggi si chiude il processo diocesano del cammino verso la beatificazione di don Ugolini, servo di Dio e insieme servo della Chiesa. Ringrazio di cuore la postulatrice della causa, dott.ssa Francesca Consolini, e il cosiddetto Tribunale diocesano, presieduto da Mons. Franco Ruffini, che in soli 13 mesi con grande diligenza e spirito di fede hanno concluso l’iter processuale. Si chiude, ma non si chiude. Il processo continua nella consegna tra poco degli atti a chi dovrà trasmettere testi, testimonianze, relazioni, suppliche alla Congregazione dei Santi, perché Colui che presiede alla comunione di tutte le Chiese sparse nel mondo possa discernere e riconoscerne il carisma della santità.
I santi canonizzati o beatificati non sono tutti i santi del paradiso, di cui l’Apocalisse parla come di “una moltitudine immensa, che nessuno può contare” (Ap 7,9), che nessun calendario liturgico né martirologio riesce a ricordare.
Canonizzati o beatificati sono coloro che, come il Santo Curato d’Ars per la Chiesa universale, o come il beato Serafino parroco di Morazzone a Milano per la Chiesa locale, vengono proposti come modelli e figure di valore per la Chiesa del nostro tempo.
Nella figura di un santo o beato si rispecchia tutta una Chiesa chiamata alla santità, come ci insegnato il Concilio (Lumen gentium, cap. V) e come ci ha richiamato Giovanni Paolo II, oggi beato, nella sua lettera ai cristiani del Terzo Millennio: “Finito il Giubileo, ricomincia il cammino ordinario, ma additare la santità
resta più che mai un’urgenza pastorale” (NMI 31). Come continua allora il nostro cammino di attesa, di preghiera, di conversione suscitato in questi anni dalla figura di don Ugolini?
C’è un particolare non secondario della sua figura che mi piace qui richiamare e che si ritrova in un passaggio del testamento spirituale: “Mentre guardo al cammino della mia vita al servizio e in particolare della comunità parrocchiale di S. Giorgio in Sassuolo, posso rilevare di avere assolto ai miei compiti con immutata fedeltà alla Chiesa cattolica, al S. Padre, al Vescovo mons. Gilberto Baroni della Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla che mi ha consacrato sacerdote”.
Non c’è allora vera devozione a Maria, separata dalla comunione al Papa e al Vescovo. Oggi, purtroppo, anche nella Chiesa ci si divide, si parteggia, chi per la tradizione che sarebbe disattesa e chi per la novità che avanza in un mondo che cambia. E si invocano il Papa, il vescovo perché anche loro si schierino da una parte o dall’altra. Non è ancora il Papa colui che il Signore ha chiamato a presiedere alla carità di tutte le Chiese, e il Vescovo guida, promotore e custode della comunione di tutti? L’invito è a fare tutti un passo indietro nella difesa del particolare, e un passo in avanti nella ricerca del comune sentire.
Paolo VI, il papa che ha portato a termine il Concilio, ha voluto aggiungere ai vari titoli mariani quello che più qualifica la figura di Maria: “Maria, Madre della Chiesa”. E proprio perché madre, l’invito di Paolo VI è a guardare a Maria come immagine in cui tutta la Chiesa si rispecchia, anche nel suo rapporto con quelli
che stanno ancora, se non fuori perché battezzati, lontani però dalla Chiesa, estranei alla vita della comunità. “Il nostro tempo ha bisogno di testimoni prima che di maestri” (EN 41). Solo così la Chiesa — la Chiesa del Vangelo che ha imparato a stare sotto la Parola, la Chiesa comunità eucaristica che celebra il Mistero che salva, e la Chiesa della ospitalità e carità che accoglie, in altre parola la Chiesa del Concilio
— è la casa comune, dove è possibile anche a quelli di fuori di dialogare, confrontarsi, rispettarsi e, se possibile, “gareggiare nello stimarsi a vicenda” (cfr. Rm 12,10), come si esprime l’apostolo Paolo.
E con il servo di Dio e servo della Chiesa Don Alfonso Ugolini così concludo: «la carità deve essere il nostro distintivo. I primi cristiani hanno aperto la via alla Chiesa con la carità che anche i pagani dicevano: Guardate come si amano!. Li conquistava vedendo l’amore che c’era fra di loro. Che amore c’è oggi fra noi?… Saremo giudicati sull’amore” (25 novembre 1987).
+ Adriano VESCOVO