Don Alfonso Ugolini (1908-1999)

Alfonso Ugolini nasce il 28 agosto 1908, a Thionville, da Enrico e Maria Anna Rondanelli, ivi emigrati da Pianorso di Lama Mocogno. Nel 1915 si stabilisce a Sassuolo, la città adottiva.
Deve percorrere la strada dei poveri. Il lavoro del papà è saltuario, mal retribuito e, per lunghi periodi, lontano. La mamma, minata dalla tubercolosi, muore a trentasei anni. Alfonso, ha dodici anni.
Quando il papà è lontano per lavoro, vive in tanta solitudine. Talvolta deve chiedere l’elemosina. Verso i diciassette anni si ammala come la mamma. Guarisce, inspiegabilmente per i medici che gli avevano diagnosticato tre – quattro mesi di vita, per una Grazia della Madonna.
In questo contesto di povertà e solitudine splendono luminosi ricordi: la fede, la pazienza e la preghiera dei genitori; le persone buone che gli davano da mangiare; e, più ancora, la certezza che il Signore era con lui e l’assicurazione della Madonna che gli ha detto: “Non piangere, io sono con te”.
Con felice intuito, il parroco don Giuseppe Zanichelli, lo introduce nella vita parrocchiale; diventa sagrestano – segretario parrocchiale – catechista – tuttofare.
Alfonso è in perfetta sintonia con gli ideali e i fini caritativi dell’Istituto Secolare “Servi della Chiesa” fondato da un santo sacerdote reggiano, don Dino Torreggiani e ne entra a far parte.
Con il boom della ceramica, inizia a Sassuolo il fenomeno dell’immigrazione. Alfonso, figlio di un emigrato, è disponibile per trovare un lavoro, un letto, una camera, un appartamento a chi arriva, disorientato e povero. Lui, che ha conosciuto la povertà e ha sperimentato sulla sua pelle cosa significa aver fame, cerca collaboratori, istituisce il F.A.C. (Fraterno Aiuto Cristiano) per procurare mezzi a favore dei poveri e per visitarli nelle loro case.
Grazie alla Provvidenza passano tanti soldi fra le sue mani: un fiume di carità, ma le urgenze sono inesauribili. Lui prova persino malessere fisico quando non riesce a soddisfare tutti. La parrocchia gli mette a disposizione un ufficio e gli lascia ampia libertà di azione. Ogni giorno, si forma una fila di persone che attendono di incontrarlo: accoglie tutti, con disponibilità piena e senza alcuna discriminazione. Registri e rubriche si riempiono di migliaia e migliaia di nomi e indirizzi, con le richieste più diverse. Lui promette, si dà da fare, telefona, scrive lettere. Non sempre ottiene, ma nessuno resta deluso perché avverte che agisce con rettitudine, col massimo impegno e con tanto amore.
Alfonso, che verso i diciotto anni si è sentito sfiorare dall’alito della morte, riserva sempre, nella sua vita, uno spazio privilegiato per i malati che visita quotidianamente: sempre desiderato e benedetto. Fonda a Sassuolo la sottosezione Unitalsi e partecipa con entusiasmo ai pellegrinaggi a Lourdes e Loreto con i malati stessi. Anima di tale sorprendente e totale dedizione, in un uomo apparentemente tanto fragile, è un amore intenso a Dio e una devozione illimitata alla Madonna. La sua è una fede alimentata da ore di preghiera che si protraggono fino a tarda notte. Convinto che la dimensione spirituale fa parte dell’uomo, vorrebbe trasmettere agli altri tale esperienza di Dio.
A sessantacinque anni, diventa sacerdote: si sente pienamente realizzato. La Messa diventa il momento più forte della giornata. Ogni giorno passa ore e ore ad amministrare il sacramento della Riconciliazione. In questo ministero si ristora perché può realizzare il suo grande amore verso l’uomo: come intermediario del perdono di Dio, come saggio consigliere e come dispensatore di conforto e di fiducia.
La morte lo coglie a novantun anni, sereno e pienamente realizzato perché si è donato, senza riserve, a Dio e all’uomo.