Coltri Giorgio (1927 – 1979)

Giorgio (ma il suo primo nome era Pericle) era nato a Venezia il 18.3.1927. Poco si sa della sua vita prima che entrasse nell’Istituto.
Nel 1948 è a Bari a fare il servizio militare.
I suoi contatti con noi si sono avuti negli anni 61- 62, dopo un breve soggiorno presso i monaci benedettini di Parma.
Nel settembre del 1962, rimasto solo con il padre, è entrato in noviziato e nell’agosto del 1963 ha emesso i primi voti.
A Marola, nel 1974 fa la professione perpetua, quando ormai la forma asmatica da cui era affetto comincia ad incidere in modo evidente sulle sue condizioni di salute e sulle sue capacità di lavoro.
Tra sacrestie e portinerie si è svolto il suo umile servizio da un posto all’altro dell’Italia, dove il bisogno lo richiedeva: Verona, Termini Imerese (PA), Reggio Emilia (Duomo e Dormitorio), Scandicci (FI), Alcamo (TP), Roma (Cancelleria). Ad Alcamo è iniziato anche il suo pellegrinaggio negli Ospedali, del sud, del centro e del nord.
Rientrato a Reggio Emilia si dedica alla portineria di via Reverberi. La sua salute richiede, però, un trattamento più adeguato, soprattutto a livello climatico.
Prima a Massa Marittima (GR) e poi a Genova presso i Missionari di san Vincenzo de’ Paoli, e, qui a Genova, la sua degenza in ospedale diventa definitivamente stabile, salvo il cambio, ogni tanto, con qualche altro ospedale.

La sua sofferenza
La sua sofferenza era diventata, in questi ultimi anni, il suo servizio più prezioso. Il tipo stesso di malattia, oltre ad indebolirlo nel vigore fisico, incideva spesso sul suo stato psichico e le alterazioni di questo, le emozioni, a loro volta, incidevano sulla sua normale attività cardiaca e respiratoria, per cui alle difficoltà respiratorie, si aggiungevano spesso stati di angoscia, paura, bisogno di appoggio, di presenza fisica, di affetto.
Tutto uno stato di cose, unito alla sua sofferta incapacità a fare a meno del suo “veleno”, il fumo, che rendevano molto forte e continua la sua sofferenza e certamente nessuno di noi, non avendola provata, è stato in grado di capirla fino in fondo. E tutto questo lo ha vissuto con fede, semplice, ma profonda, offrendo tutto al Signore per la sua salvezza, per l’Istituto, la Chiesa, soprattutto i giovani.
Giorgio ha sempre desiderato, nel suo cuore, e non più di un anno prima della sua morte ne fece anche esplicita richiesta al Vescovo di Reggio Emilia, di essere diacono o prete. Anche se la consacrazione sacramentale, per motivi vari di natura pastorale, non gli è stata conferita, certamente lui ha vissuto la sua “diaconia” nella immolazione di sè, nella sofferenza offerta per gli altri.

L’apostolato dell’amicizia e delle piccole cose
Il tipo di servizio che Giorgio svolgeva tra sacrestie e portinerie, le degenze prolungate in ospedale, fin quando le sue condizioni psichiche erano stabilmente normali, lo hanno messo a contatto con varie persone con le quali non faceva fatica a stringere rapporti di amicizia profonda con legami che restavano anche dopo la sua partenza.

Un bigliettino, un regalo, un semplice gesto di attenzione sono le piccole cose che Giorgio valorizzava per rendere espliciti i suoi sentimenti. La sua facilità a crearsi degli amici, a stare insieme agli altri, gli servivano per accattivarsi l’affetto e la simpatia dell’ambiente.
Quando era a Genova in ospedale, ad esempio, la sua stanza, il suo letto, erano diventati il punto di riferimento di tutto il reparto: visite continue, soste, colloqui che per lui erano una preziosa occasione per dare un consiglio, dire una buona parola, fare una esortazione, dire insieme una preghiera e fu per valorizzare meglio questa situazione in cui si trovava che chiese di poter essere prete o diacono, per poter meglio terminare il “lavoro” che iniziava.
È morto a Firenze, alla “Villa Ognissanti” dell’Ospedale “Careggi”  il 18.2.1979, la stessa domenica in cui il Papa faceva visita alla Parrocchia della Magliana a Roma.
È sepolto a Reggio Emilia, nel nuovo cimitero di Coviolo.

“Senza povertà, senza occhi limpidi, senza accettazione serena della nostra indigenza e fragilità, senza conversione all’amore, senza una speranza trasparente, nessuno torna di nuovo a farsi piccolo così noi dovremmo andare ai poveri e dividere con loro gioie e dolori, privazioni, ma sempre portando la gioia nel cuore, perché, ripieni di spirito di Dio, possiamo dare la certezza che Cristo è vivo tra di loro ed opera il bene, tramite la nostra povera persona. Dobbiamo farci piccoli con loro, vivere la povertà del Vangelo e disarmarli con il nostro amore, la nostra bontà”  (dai suoi scritti – 1973)

“Povertà vuol dire apertura verso i più miseri, gli emarginati e questo lo possiamo
constatare nella nostra casa di Reggio; quando la domenica il nostro refettorio contiene 40 – 50 persone di ogni tipo, di ogni condizione. È allora che il nostro cuore si allarga come il cuore di Cristo nell’accogliere il fratello bisognoso. Facce stanche, smorte, cuori infranti dal vizio, dall’alcool, dalla miseria; occhi che si specchiano nei nostri occhi, che chiedono un aiuto spirituale, che stendono una mano per essere innalzati e aiutati
Non sempre, però, anche se apriamo la porta di casa, siamo propensi ad aprire il nostro cuore Ed è questo, invece, che dobbiamo fare! Oh se avessimo un cuore grande e dilatato come il cuore di Cristo! Come li ameremmo di più!”  (dai suoi scritti – 1973)

“La bontà è l’unico investimento che non fallisce mai! Sono considerazioni che ho fatto durante il periodo che sono stato all’ospedale di Parma e che penso di mettere a disposizione di tutti”    (dai suoi scritti – 1975)

La parola del Fondatore
3 vol. “La morte di Giorgio Coltri” pag. 94 (tutto)