L’Istituto è opera di Dio anche perché ha offerto a più anime consacrate un cammino verso alti ideali di virtù cristiana, confermati dal consenso unanime della comunità cristiana dopo la loro morte.
È doveroso per noi ricordare i nostri morti, sia per rinnovare i legami della profonda comunione che ci lega a loro, sia per sentirci stimolati dal loro esempio nel nostro cammino quotidiano.
“Noi abbiamo avuto delle morti sante, e quando davo la parte di eredità a ciascuno, amavo esprimere il desiderio che ciascuno si impegnasse per la ripresa della causa di beatificazione di Gino Colombo perché?
Perché, e questo è un rimprovero a me, è un rimprovero, forse, per ognuno di voi, forse per tutti, dicevo “si isti, cur non ego?” Se sono riusciti loro, e riusciti attraverso delle vie spaventose: don Livio si fa presto a dire dieci anni di immobilità; don Barbieri si fa presto a dire che è stato malato per tanto tempo, ma c’è ancora quel dottore di Bagnolo in Piano che lo ricorda e si chiede ancora come poteva essere il fatto che questa creatura sapesse che il giorno dopo ci sarebbe stato un dolore ancora più grande nel fisico. Sono tre-
mende queste cose, eppure Arvedo, e non ci sono soltanto dei sacerdoti, Arvedo, Bigi
noi abbiamo esaurito il capitolo Bigi con questa nostra piccola pubblicazione che è ri-
chiesta e che fa tanto bene da una parte e dall’altra ma l’imitazione e il conforto di dire
“è la stessa strada che percorro anch’io” allora è una strada buona, vuol dire che è una strada che mi dà tutti i mezzi per vivere santamente, se voglio, e quindi non dipende dall’Istituto il mio poco fervore, il mio poco entusiasmo, il mio raffreddamento, è causa mia: “si isti, cur non ego?”
(Don Dino – 1978 – cfr. 3 vol. “i nostri punti fermi” pag. 75)