Ha conservato scolpito nel volto lo stupore di un bambino e nel linguaggio l’arguzia di un saggio navigato.
Ferdinando Bertoli (da tutti chiamato don Nando) è nato Cadiroggio (Castellarano) il 24 maggio 1930 da famiglia di origine contadina, numerosa e religiosa. Dopo le elementari va a Parma dai Benedettini, ove soggiorna 3 anni (1942-1944), come probando in ricerca vocazionale. Passa poi un anno al Seminario di Marola, ove matura l’idea di servire il Signore come laico consacrato. Ed è così che, il 1° ottobre 1946, viene accolto nell’Istituto secolare dei Servi della Chiesa dallo stesso fondatore, don Dino Torreggiani, grande amico dello zio paterno, don Pasquino.
Dura circa 25 anni tale servizio da consacrato e da sagrestano alla Chiesa di Reggio Emilia (3 anni in Cattedrale), a Roma (8 anni nella Basilica di San Lorenzo in Damaso) e a Napoli (13 anni in Cattedrale). Servizievole, gioviale, brillante, buono, si fa apprezzare da numerose personalità altolocate del mondo ecclesiastico, soprattutto a Roma e a Napoli, ma conserva inalterato il suo gusto per la vita semplice e la predilezione per la gente semplice.
Dopo il Concilio, la Diocesi di Napoli è tra le prime ad intraprendere la formazione specifica per i candidati al Diaconato permanente. Nando vi partecipa pensando di diventare diacono, celibe, consacrato con i voti. Invece, quasi improvvisamente, inaspettatamente, provvidenzialmente si apre per lui una strada nuova, breve, che lo porta al sacerdozio. E’ don Torreggiani a presentarlo al Vescovo di Massa Marittima, il compianto Mons. Lorenzo Vivaldo, il quale nutre da tempo il progetto di raccogliere e preparare al sacerdozio vocazioni adulte per le sue terre e popolazioni scristianizzate, che comprendono anche gli ospiti dei penitenziari delle isole Asinara e Pianosa.
E’ così che, il 6 dicembre 1973, all’età di 43 anni, Nando è ordinato sacerdote dopo soli 2 anni di formazione nel Seminario di Massa Marittima.
Passa ancora due/tre anni di esperienza come viceparroco in piccole comunità della Diocesi, a Piombino prima e all’isola d’Elba poi, al termine dei quali don Nando viene affiancato come vice cappellano a don Umberto Lumetti (anch’egli Servo della Chiesa) al penitenziario di Pianosa. Vi rimane anche dopo la rapida partenza di don Lumetti per oltre 20 anni, dal 1976 al 1998, cioè fino alla chiusura dello stesso penitenziario. Ivi conobbe un concentrato di umanità, di malvagità e di grazia: storie terribili di vite malavitose, storie sconcertanti, incredibili di recupero, di cambiamento, di salvezza.
A Pianosa, nel 1986, con la sua comunità ha la gioia di ricevere la visita di Madre Teresa di Calcutta.
Dopo Pianosa trascorre 3 anni a Valpiana come parroco. Ma l’assenza del cappellano dell’OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) a Montelupo Fiorentino spinge don Daniele Simonazzi a fare pressione sull’Istituto, sul Vescovo di Massa e sullo stesso don Nando, perché sia liberato per una ulteriore “reclusione”, durata poi altri 13 anni, appunto al carcere di Montelupo (2001 – 2013).
Don Nando vi si reca all’inizio, quotidianamente, in macchina dalla Casa di Scandicci (Firenze), poi dalla più vicina Empoli, dove nel frattempo è accolto con squisita fraternità dai Padri Scolopi. Gli ultimi 3 anni di vita don Nando, provato nel fisico da vari problemi di salute, li trascorre serenamente nella Casa del Clero di Montecchio, dove condivide amicizia e fraternità sacerdotale con Mons. Gibertini, Mons. Fabiano Tortella e con altri confratelli, tra cui 2 Servi della Chiesa, don Antonio Lusuardi e don Orazio Salsi.
La vita di don Nando, figlio della nostra terra e della nostra Chiesa, è stata vissuta all’insegna del servizio generoso e gioioso, della povertà come condivisione quotidiana con chi è privato della libertà (bene fondamentale inestimabile), all’insegna della preghiera e del sacrificio per i più lontani e certamente anche della missione in luoghi, come Pianosa, dove quanti ci hanno vissuto si sono sentiti, non di rado, fuori dal mondo, da “reclusi” o, come ripete don Nando nel suo testamento, da “fratelli ristretti”.
Potremmo concludere affermando che un po’ tutta la sua vita in diaspora è stata una “restrizione”: durante i 25 anni di servizio nelle Basiliche come sagrestano, poi nei 35 anni nelle carceri come cappellano, infine nei 3 anni alla Casa del Clero come ospite malato.
Sorella morte lo ha definitivamente liberato per orizzonti ben più vasti, quelli della misericordia divina e della beatitudine eterna.
don Emanuele Benatti