LA STORIA DI UN ‘SERVO PER AMORE’
(di d.Emanuele Benatti, per il centenario della nascita di Enzo Bigi)
Enzo Bigi, primo laico consacrato nell’Isituto dei Servi della Chiesa : ecco un’altra figura di uomo e di apostolo degno di essere conosciuto. Ce ne occupiamo esattamente a 100 anni dalla nascita, avvenuta a Villa Sesso il 15 agosto 1913. Chi scrive l’ha conosciuto da giovane studente, negli anni ’60, quelli del Seminario, quando Bigi viveva a Badia Polesine (Rovigo), nel collegio dei ragazzi Sinti, volgarmente chiamati zingari. Lo incontravo d’estate, quando Enzo portava in vacanza i suoi ragazzi nella vecchia canonica di Marmoreto (Busana). Lo ricordo così, inseparabile da una ciurma di ragazzini incuranti di tutto, anche dei grossi topi che di notte piombavano dal soffitto fatiscente, cadendo sui letti e fuggendo impauriti. Né i ragazzi, né Enzo si scomponevano più di tanto. Se insistevo, lui si metteva a cantare il Salmo 1, con le note di Giombini :”Come alberi piantati lungo il fiume, noi aspettiamo la nostra primavera; come alberi piantati lungo il fiume, daremo i nostri frutti”. In verità questo Salmo faceva parte del suo repertorio preferito, non credo solo per la vivacità orecchiabile della musica. Di quei 40 ragazzi, sua croce e delizia , Enzo conosceva tutto, la storia di ogni loro famiglia, la criticità di ogni loro esistenza, i contraccolpi di ogni rifiuto sociale, culturale e razziale. Li amava più di se stesso quei ragazzi. Tra loro seminava a piene mani amore e tenerezza, compassione e dignità, senza troppo illudersi sui tempi e sulla quantità dei frutti. Lo chiamavano “il Maestro”, ma di fatto per loro e le loro famiglie era molto di più. Per 15 anni, dal 1958 al ’73, ha condiviso la loro vita, le fatiche e le umiliazioni, camminando con loro, lentamente (aveva i piedi piatti…), pazientemente, gioiosamente, da vero Servo della Chiesa. Visiteremo – a Dio piacendo- alcuni tratti della sua storia,dalla giovinezza in famiglia, in parrocchia e in fabbrica, passando per la scelta vocazionale di consacrazione secolare, insieme a don Torreggiani e ad Alberto Altana (allora giovane seminarista), fino al percorso davvero esemplare di santificazione, di ascesi e di mistica, nell’età matura.
Vorrei accennare ad un’altra caratteristica di Bigi, per me particolarmente intrigante: la sua “passione amorosa”! Per tutti Enzo era stato e restava un uomo visibilmente innamorato, sia che lo si cogliesse nelle vesti di un samaritano misteriosamente attratto dalle bassezze dell’uomo, sia che si manifestasse sotto quelle dell’alpinista estasiato dalle altezze di Dio. Si nutriva e si beava degli scritti di Teresa di Lisieux come di quelle di Von Baltasar : lui non avvertiva diversità di sorta fra i due. Con loro si librava in alto, citandoli a pieni polmoni, trasalendo di gioia e giubilando.
Enzo era stato fidanzato in gioventù, fin quasi al matrimonio, con una giovane di Montecchio. L’improvvisa, non facile, nuova scelta di consacrazione secolare con i voti, lo abituò, per grazia, a fissare lo sguardo sullo Sposo, “l’amato mio Signore”, e, accanto a lui, a vedere sempre la nuova “fidanzata”, la piccola Teresa di Lisieux.
Ancora oggi, a pensarci, fatico a capire la sua profonda commozione e l’esultanza spirituale di fronte agli scritti, per lui indissociabili, di Teresa e di Von Baltasar. E mi sento un profano…
Stralcio da una raccolta ciclostilata dai Servi della Chiesa poco dopo la sua morte, questa curiosa testimonianza di Adriana, una ragazzina sinta, arrivata a Badia Polesine (Rovigo) all’età di quattro anni e accolta da Bigi insieme al fratellino maggiore:”Quando io ero ancora piccola, mi prendeva in braccio e mi diceva :“Mi vuoi poco o tanto bene?”. Io rispondevo :“ Tanto!”. E lui :”Quanto?”. E io:”Come il cielo!”. E lui rideva. Anche quando andavo a mangiare, mi ripeteva sempre la stessa domanda:”Poco o tanto?”, con un sorriso simpatico che mi faceva ridere. Io crescevo e lui mi voleva sempre più bene. Un giorno gli dissi:”Chi è Dio?”. E lui mi spiegò tutto, dall’inizio alla fine. Io ascoltavo e dicevo fra me: come è bello credere che c’è una persona (cioè Dio) che è morto per noi, per salvarci! Quando diventai più grande, lui era andato in pensione, e non sentivo più dirmi.”mi vuoi poco o tanto bene?”. Solamente lui me lo diceva!!! La stessa Adriana ha scritto che Bigi le ha raccontato del suo desiderio di sposarsi con una moglie per avere tanti bambini. Però sapendo che nessuna moglie avrebbe potuto dargliene tanti quanti ne voleva, allora aveva deciso di andare in giro per il mondo a raccogliere orfanelli e sinti per stare con loro…
In realtà Bigi ha sofferto e lottato a lungo prima di interrompere il fidanzamento con Anna, la giovane di Montecchio, già in prossimità del matrimonio, per scegliere la strada della consacrazione con i voti. Ciò avvenne agli inizi degli anni ’40: tempi di guerra, anni difficili anche per la famiglia, con due giovani al fronte e con il padre avanzato in età. La presenza di Enzo, ben retribuito come operaio alle Emiliane, rimasto a casa da militare a causa dei piedi piatti, era molto preziosa. Del resto era stimato e cercato ovunque, al lavoro come in parrocchia, specie nell’Azione Cattolica, dove ebbe modo di incontrare don Dino Torreggiani, diventato poi sua guida spirituale durante la profonda e sofferta crisi di identità e di vocazione. Non si trattava solo di scegliere tra matrimonio e consacrazione “secolare”(facendo i voti, restando laico, nel mondo), ma di crescere spiritualmente libero da quel misto di “naturalismo fantasioso e sentimentalismo egoistico”, verso cui Enzo aveva facile propensione. Don Torreggiani ha scritto in proposito :”Mentre tutto all’esterno sembrava farsi più buio, la voce di Dio nella sua anima prendeva sempre più consistenza e l’invito a tutto lasciare diventava sempre più pressante. E io toccai con mano l’eroismo di quella scelta… Dopo quella svolta, senza rammarichi, senza voltarsi indietro, senza compromessi, il suo cammino di fede nel servizio della Chiesa alle anime più abbandonate non ebbe una sosta” (Aldo Zagni, Enzo Bigi, a cura dell’Ist. Servi della Chiesa, pag 22). Comunque,la decisione apparve inconcepibile ai più, alla diletta fidanzata, ovviamente, alla famiglia, ai parrocchiani, ai colleghi di lavoro. Anche perché Bigi, oltre alla fidanzata, lasciò il lavoro, per dedicarsi anima e corpo, in città a Reggio,prima ai ragazzi orfani o poveri dell’Istituto Artigianelli, poi agli ospiti notturni del Dormitorio Prampolini , alle vecchiette di San Girolamo, e, successivamente, ai bambini sinti di Badia Polesine.
A proposito del servizio al Dormitorio pubblico così ha scritto ancora don Dino:”Mi sono domandato tante volte come Bigi si fosse penetrato di tale tenerezza per quella categoria di poveracci. Una cosa è sognare i poveri e una vita di povertà, altro è vivere una povertà cruda, avere tutta la vita, ogni giorno, poveri, poveri autentici alla propria tavola, prendere ogni notte il riposo accanto a loro, poveri sconosciuti, arrivati all’ultimo minuto “ (ibidem, pag 56). Prendere il riposo significava in realtà perderlo, per dare un tetto e un letto a scarcerati, a vagabondi, a giovani e adulti senza direzione, profondamente feriti dentro, spesso aggressivi, irascibili, litigiosi, consumati dall’alcool, esigenti, pretenziosi, assolutamente bisognosi di amore e di calore umano. Dello stesso Bigi riporto due confidenze, proprio di quei tempi, la prima fatta a don Altana e la seconda a Suor Maria del Carmine, cofondatrice delle Case della Carità:”Fede e amore. E se qualche volta la povertà si fa sentire tale quale è, non è questa che abbiamo cercato e desiderato praticare con i santi voti?” (Lettera dell’8 dic.1945). “Il Dormitorio ospita gente molto fastidiosa…Domandarsi se merita di essere aiutata, vale solo se si tiene conto che sono anime redente dal Sangue del Salvatore. Anzi, non si deve dimenticare che l’aiuto materiale può diventare un mezzo per aumentare il vizio. Però, se trascuriamo questi poveri, che sono i più poveri, a chi dobbiamo rivolgere la carità di Cristo? Ci vorranno, credo, lacrime di carità per piangere i peccati di questi nostri fratelli…Costa fare la carità a questi nostri amici, soprattutto se non si tiene lo sguardo fisso a LUI” (ibidem , pagg 71 e 72).
Simili espressioni, scritte nel lontano luglio del ’54 a Suor Maria, rivelano una spiritualità profonda, tanto incarnata quanto elevata. Noi ne restiamo ammirati e, onestamente, anche un po’ spaventati…
DALLA CONVERSIONE AL SERVIZIO
Sulla scelta di Enzo di consacrarsi con i voti al Signore e di dedicarsi totalmente ai più disagiati, oltre alla testimonianza già citata di Adriana circa la sua predilezione per i bambini sinti, riportiamo quella altrettanto particolare degli amati cugini Cocconi. Nel settembre del ’75 Bigi era rientrato a Reggio, affaticato e malfermo in salute. Sarebbe morto alcuni mesi dopo, a soli 63 anni di età. Una sera, a cena in casa dei cugini, ricordando la sua “conversione”, si confidò:” Stavo andando a Reggio a lavorare, come al solito, in bicicletta, quando sentii come una voce che mi disse “Adesso basta! Sei mio”. Da quel momento ho deciso di cambiare vita e ho lasciato tutto”. Sappiamo che quell’evento, tanto misterioso quanto decisivo, fu preceduto da mesi di preghiera, inquietudine, digiuni, confronti, attese…
Poco dopo, don Torreggiani affidò a Bigi l’economato all’Istituto Artigianelli di cui egli, in qualità di parroco in Santa Teresa, a Reggio, era Direttore. Così dal ’42 al ’57, prima, durante e dopo la guerra, Bigi si sobbarcò un enorme lavoro, adattandosi a tutto, per affrontare e mitigare le conseguenze del conflitto: povertà, fame, freddo, bombardamenti, sfollamenti ripetuti. In una lettera dell’estate del ’45 don Dino scrisse a Bigi e ad Altana, allora studente di teologia :”Vi lascio liberi. Con me non avrete nulla di certo. Non ho una casa sicura, non ho mezzi sufficienti; mi manca tutto, anche una formale approvazione della Chiesa. Non ho che delle bocche da sfamare e una grande fiducia nella Misericordia e Provvidenza di Dio. Ponderate bene tutto e decidete in totale libertà e semplicità d’animo”. Bigi e Altana lo seguirono, certi che la volontà di Dio inglobava e trascendeva gli stessi progetti di don Dino. L’approvazione della Chiesa arrivò per gli Istituti Secolari, provvidenzialmente, nel febbraio del ’47 con Pio XII (Costituzione Apostolica “Provvida Mater Ecclesia”), e per l’Istituto dei Servi della Chiesa, sorprendentemente, nel marzo del ’48, con il Decreto del Vescovo Socche. L’Istituto fu così approvato con soli tre membri professi : don Dino, don Altana, ancora seminarista, e Bigi, laico celibe.
Gli anni della guerra e quelli successivi, pur tragici, furono per Enzo intensissimi e fecondi, anche per le grandi amicizie strette con altre figure particolari, come Gino Colombo, don Dossetti, don Prandi, Suor Maria, La Pira, Lazzati. Gli incontri e la corrispondenza con loro, sempre concernenti tematiche forti, come la povertà, i poveri, le famiglie operaie, il proletariato, la gioventù abbandonata, gli anziani, gli ultimi, sorprendono ancora oggi per la passione apostolica e la commossa tenerezza verso chi viveva in stato di abbandono materiale o spirituale. Significative, al riguardo, le tre lettere a don Prandi e a Suor Maria, scritte nell’ottobre e novembre del ’54, per sollecitare l’apertura della Casa della Carità in San Girolamo. Eccone brevi estratti :”Vi aspetto a San Girolamo con un’ansia mai provata…Gesù sarà definitivamente e ininterrottamente a San Girolamo…Manco di tutto, ma la Provvidenza è grande, sapete!!!…Le mie lampade sempre si spengono. La vostra avrà un olio finissimo e non si spegnerà mai…A fermare la tempesta di tempi terribili io guardo con sicurezza a san Girolamo. La carità copre una moltitudine di peccati…Ormai, cosa potete aspettare di vedere, di capire? Certe volte non si vede, non si capisce. Si ama!!! I poveri attendono, le vecchiette vi tendono le braccia, la città geme. Inconsciamente, voi vi fate aspettare troppo!!! Prego il Signore che vi faccia un poco sentire cosa voglia dire sentirsi poveri e senza Dio. Com’è triste l’anima lontana da Lui e che tende a Lui! Ce ne sono tante qui… Venite!” (Aldo Zagni, ENZO BIGI, pag 72-73).
Nel ’57, lontano da Reggio, iniziò per Bigi, in spirito di obbedienza e di servizio, quello strano vagabondare per l’Italia, da Trapani a Roma, da Treviso a Badia Polesine, di cui egli stesso ebbe a scrivere, sempre ai cugini :”Sì, vado diventando un piccolo vagabondo. Mi fermo a Reggio qualche giorno, poi sulle ali della santa obbedienza mi porterò ove il Buon Dio mi vuole. Dove? Che cosa importa!? Sono SERVO…Solo la Volontà di Dio conta!…E già gusto un pochino il detto di San Francesco ”E’ tanto il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto”. Ovunque vado, posso trovare la Misericordia del Buon Dio e l’aiuto di Maria. Che altro posso chiedere? Solo di non essere ingrato!” (ibidem, pag 80-82),
Così, nel ’58 approdò a Badia Polesine, nella Casa Divina Provvidenza, dove fece famiglia con i bambini sinti, zingaro con gli zingari, per quasi 20 anni, fino a pochi mesi dalla morte. Per tutti, piccoli e grandi, sinti e gagi, diventò “il Maestro”. E tale è rimasto ancora oggi.
Gli anni trascorsi da Bigi con i bambini sinti furono tanti e intensi, anche sofferti, dominati da una chiara convinzione di inadeguatezza, soprattutto dal punto di vista organizzativo e disciplinare. E’ facile immaginare come i ragazzini e le ragazzine si comportassero all’interno di una struttura certamente protettiva ed educativa, ma per loro non naturale né abituale. Inoltre la sua “debolezza” deve aver creato qualche difficoltà di carattere pedagogico con gli altri educatori e responsabili del Collegio, più esigenti circa il rispetto delle regole e della disciplina. Forse tutto ciò spiega il suo permanente desiderio di ritirarsi a vita contemplativa, totalmente consacrata alla preghiera, come pure il sogno accarezzato a lungo di dedicarsi alle ragazze cadute nella prostituzione, e addirittura la decisione di chiedere per lettera, nel settembre del ’74, alle Autorità penitenziarie governative, la “grazia di essere recluso in carcere per vivere da fratello con i carcerati”, condividendone ininterrottamente le condizioni di vita, “per gettare un piccolo seme nei giardini italiani”. La Legge non lo prevedeva né ammetteva neppure per i cappellani …
Forse, dicevo, dietro queste “chimere” c’era un certo disagio per le difficoltà del servizio a Badia. O forse, più profondamente, questi sogni erano originati dalla crescente familiarità e sintonia amorosa con gli scritti e la passione di Santa Teresa, la sua prediletta, essa stessa costretta a confrontarsi con le dure limitazioni della salute e della vita comunitaria in monastero, eppure desiderosa di correre per il mondo come catechista, sacerdote, missionaria, martire, per amore di Cristo e per la salvezza dell’umanità. Certo Bigi viveva con i piedi per terra, ma il suo cuore era pur sempre proteso verso l’alto, sempre più alto.
Di fatto, nell’autunno del ’74, l’obbedienza lo portò via da Badia, lontano dai suoi “zingarelli”, per un servizio di qualche mese a Roma, nella basilica di San Lorenzo in Damaso, come sagrestano, “un sagrestano di lusso”, come ebbe a dire il Card. Traglia.
Lo strappo non fu indolore, ma in spirito di obbedienza, lavorando in silenzio, pregando ininterrottamente e scrivendo, Bigi ebbe modo di valorizzare e manifestare un altro dono della multiforme grazia di Dio, ricevuto forse già in gioventù, quando militava nell’Azione Cattolica: l’amore e la cura per le vocazioni. Si rivelò un vero fratello e maestro spirituale per molte persone, all’interno come all’esterno dell’Istituto. E sono frequenti , nelle sue lettere, le citazioni e i riferimenti alla piccola via di Santa Teresa :”Dio ci ha lasciato in lei semplicità e spirito di abbandono. E non è inimitabile!”
In due lettere inviate a giovani donne in ricerca vocazionale, agli inizi del ’75 scrive:”Amor con amor si paga! Teresa di G.B. viveva di questo…La mia Bella era solita dire “Se arrivando in Paradiso, Lui facesse finta di non accorgersi del mio arrivo, non mi interessa. Io lo amo per se stesso. Mi basta amarlo!”…E così termina una di quelle lettere :”La mia anima resterà ferma e prostrata all’altare del Signore sul quale vi presento fin d’ora. Se voi vi stancate, io non mi stancherò mai. Voglio arrivare a stancare Gesù fino a quando non mi avrà ascoltato. Vedremo chi si stancherà prima!…”
La sollecitudine vocazionale di Bigi era solidamente fondata su realtà come l’altare, il calice, la messa, il tabernacolo: termini che ritornano spesso nelle sue lettere. Significativa, al riguardo, quella che scrisse ai fratelli dell’Istituto in Madagascar, nel marzo del ’75 :”Sì, perché in tante sante Messe siete sempre nella patena e nel calice. E’ una preghiera ininterrotta. E’ più di un cuore a cuore. “Che essi siano una cosa sola come Tu, Padre, sei in me”. Come è vero questo nell’anima mia! Noi e voi siamo una cosa sola. Non siete mai soli, siatene certi. Siamo più che assieme, siamo una cosa sola, di giorno e di notte…”
Come già scritto in precedenza, Bigi passò gli ultimi tempi della sua vita a Reggio : mesi di preghiera, di silenziosa offerta di sé e di attesa … La mattina del 17 febbraio del ’76, Enzo, già in cappella prima dell’orario comunitario, fu colto da improvviso malore. La diagnosi parlerà di embolia femorale destra con schok cardiocircolatorio. La situazione precipitò rapidamente. Riuscì a chiedere e a ricevere il sacramento della riconciliazione e l’olio santo. Pregò il confratello don Gazziero di trasmettere le ultime “consegne” vocazionali ad alcune persone affidate a santa Teresa. Durante il breve tragitto da via Reverberi all’Ospedale, tra lancinanti dolori fisici, non cessò di confessare la sua fede, manifestando lucida e serena consapevolezza :”Tra poco vedrò la gloria di Dio…Gesù, ti amo. Sia fatta la tua volontà! Non preoccupatevi di me…lo so che devo morire…mi aspetta il mio Signore! Gesù viene. Ecco lo Sposo…Gesù, sono pronto!”… E il Signore lo ha raggiunto in sala operatoria, precedendo e rendendo inutile l’estremo tentativo dei medici.