Relazione per l'apertura del processo

Vita e virtù di mons. Giuseppe Dino Torreggiani

1 – Nascita, vocazione, formazione

Mons. Giuseppe Dino Torreggiani (in seguito solo Dino) nasce a Masone, parrocchia in diocesi di Reggio Emilia, l’8 settembre 1905, da famiglia profondamente cristiana. L’ambiente è caritatevole, aperto all’accoglienza premurosa verso i viandanti e i poveri secondo l’esempio del padre Giacomo, di professione birocciaio. L’11 giugno 1914, all’età di otto anni, un fatto di sangue orienta la sua vocazione in modo profetico: un suo cugino, in un alterco, uccide il parroco di S. Bartolomeo di cui era mezzadro. Tornando dal funerale, la madre, piangendo, gli dice: “Tu prenderai il suo posto: sarai sacerdote!”. Ricordando questo fatto, Don Dino sempre affermava: “Non ebbi mai alcun dubbio sulla mia vocazione sacerdotale”.
Seguite le scuole elementari fino alla terza nella frazione nativa, Dino frequenta le classi seguenti (4a e 5a) a Reggio Emilia, percorrendo ogni giorno i sedici chilometri a piedi con le scarpe in spalla. Il 13 aprile 1917, entra nel Seminario Minore, iscritto al Ginnasio interno. Si segnala subito per le sue capacità intellettive, diligenza ad ogni dovere e buon esempio verso i compagni. Giunto al corso teologico è profondamente colpito da Il vero discepolo di Gesù Cristo di S. Antonio Chevrier, che diventerà per tutti i membri del futuro Istituto dei Servi della Chiesa, uno dei testi-base.
Il 24 marzo 1928, in Cattedrale, viene ordinato sacerdote da Mons. Eduardo Brettoni ed il giorno seguente celebra la sua prima Messa all’altare della Beata Vergine della Ghiara, seguendo la consuetudine dei giovani sacerdoti della Diocesi. In quell’occasione, mette un foglietto sotto la patena: in esso chiedevo alla cara Madonna la grazia di praticare i voti religiosi restando sacerdote diocesano e la grazia di darmi alle categorie più abbandonate.

2 – Primi anni di sacerdozio

Primo incarico: è nominato vice rettore di Mons. Luigi Garimberti nel Seminario Diocesano ad Albinea. Il 21 ottobre seguente, viene riaperto a Reggio l’oratorio di S. Rocco, per i bambini ed i giovani più poveri; lo dirige Don Giuseppe Farioli, che ben presto indicherà a succedergli lo stesso Don Dino, sicuro di un grandissimo impulso. Infatti la sua opera si estenderà anche all’assistenza spirituale dei soldati della caserma cittadina, spesso analfabeti e lontani dai sacramenti e alla redenzione delle ragazze delle “case chiuse”, affidate poi a Madre Rosa Gozzoli, che aveva fondato a Cremona il Rifugio del Sacro Cuore, tuttora attivo nell’accoglienza delle ragazze nella stessa situazione.
Dal 1932, per sua iniziativa, viene trasferito in S. Rocco il Ginnasio del Seminario di Albinea, culla di formazione per ben cinquantaquattro sacerdoti diocesani. Dal 1930 al 1936 è assistente diocesano della G.I.A.C. (Gioventù Italiana di Azione Cattolica) ponendo le basi di molteplici attività, viste tutte come segni di Dio, mai senza l’approvazione e benedizione del Vescovo.
Contemporaneamente, avviene un fatto che sconvolge la vita religiosa della Diocesi di Reggio Emilia, con conseguenze che lo toccano direttamente. Mons. Angelo Spadoni, illustre insegnante di teologia del Seminario, Vicario Generale e direttore spirituale di Don Dino e di molti sacerdoti della Diocesi, stimato per le sue particolari doti intellettuali ed ascetiche, costituisce la Pia Società dei Figli del Divino Amore con sacerdoti e giovani donne.
Il Vescovo Mons. Brettoni, allarmato su certi aspetti della spiritualità dello Spadoni e nell’atteggiamento falsamente carismatico di alcune aderenti del movimento, intuisce il sotteso pericolo per cui chiede a Don Dino (1936) di trasferirsi nella parrocchia di S. Teresa in città, priva, per giunta, di benefizio parrocchiale. L’abbandono dell’Oratorio di S. Rocco è, per lui, una grandissima ma feconda prova spirituale, perché produrrà due caratteristiche fondanti dell’Istituto dei Servi della Chiesa: nihil sine Episcopo (S. Ignazio di Antiochia) e la scelta di servire nelle situazioni più povere. Mons. Spadoni ed il suo movimento, rifiutatisi di sottomettersi all’Ordinario, incorreranno poi nelle sanzioni canoniche.

3 – Apostolo e formatore dei giovani

Nella stessa parrocchia di S. Teresa d’Avila, dove Don Dino si era prontamente trasferito secondo i desideri del suo Vescovo, nasce l’Unione Catechisti, un nuovo gruppetto di giovani tra i quali usciranno alcuni intenzionati a consacrarsi a Dio con voto. Come parroco, Don Dino assume, per statuto, anche la direzione del Pio Istituto Artigianelli fondato per la formazione cristiana e professionale dei ragazzi più poveri. L’8 dicembre 1940, Don Dino emette i voti insieme al catechista Alberto Altana; il 10 dicembre, a soli diciannove anni e in punto di morte, si unirà a loro Gino Colombo, anch’egli proveniente dalla Unione Catechisti.
Nel frattempo, prima e durante la guerra, Don Dino comincia a pensare e a lavorare alla formazione di un gruppetto di ragazzi in cui ravvisa una certa chiamata: sono i Piccoli Amici di Gesù Adolescente, sistemati provvisoriamente prima a Pieve Modolena e poi a Novellara. Dopo la Liberazione, col nome di Collegio S. Giuseppe, questi ragazzi si trasferiscono definitivamente a Guastalla. Il Vescovo locale, Mons. Giacomo Zaffrani, li accoglie paternamente come esterni nel suo Seminario per essere poi incardinati nella diocesi di Reggio Emilia. Il Collegio, dopo aver preparato al servizio della Chiesa diciannove sacerdoti, esaurita la sua funzione educativa, verrà chiuso nel 1975. Per tutta la vita, Don Dino ha continuato ad essere non solo un valido formatore, ma anche un appassionato ricercatore di vocazioni, per cui non ha esitato a fare delle proposte concrete ravvisando segni favorevoli. Verso la fine della sua vita confiderà di avere indirizzato alla consacrazione circa centocinquanta giovani (sacerdoti, religiosi, suore).

4 – Approvazione dell’Istituto e sua crescita progressiva

Dopo il 25 aprile 1945 Don Dino, d’accordo col Vescovo Mons. Brettoni, rinuncia alla parrocchia ed ottiene una prima sede per l’Istituto nascente presso l’ex ospedale S. Maria Nuova, in un’ala semidistrutta dalle bombe. L’Istituto prende il nome di Servi della Chiesa ed il Collegio dei Piccoli Servi della Chiesa viene affidato al patrocinio di S. Giuseppe.
Sarà Pio XII, il 2 febbraio 1947, con la Costituzione Provida Mater Ecclesia a istituire gli Istituti secolari come vera consacrazione ecclesiale. Il 19 marzo 1948, il nuovo Vescovo di Reggio Emilia Mons. Beniamino Socche, con l’approvazione della Santa Sede, potrà riconoscere i Servi della Chiesa come Istituto Secolare di diritto diocesano.
Il neonato Istituto sarà già presente a Roma ad un primo incontro informale di alcuni Istituti secolari nell’Anno Santo 1950 e nel 1963 ad un secondo a Venasque presso Avignone (Francia), a cui partecipano ben quaranta Istituti approvati. Intanto, alcuni sacerdoti diocesani aderiscono all’Istituto, portando con sé vari giovani che li seguiranno nella consacrazione secolare.
Al momento dell’approvazione l’Istituto è formato da tre soli membri professi, quaranta seminaristi a Guastalla, e da quattro novizi. Si aggregheranno poi i futuri addetti al culto (sagrestani ed impiegati parrocchiali) e i servi a domicilio inseriti nel loro contesto sociale ed ecclesiale. Con essi Don Dino sembrava già chiaramente intuire la riscoperta del diaconato, sanzionato poi autorevolmente dal Concilio Ecumenico Vaticano II come servizio permanente delle comunità locali.
Il piccolo Istituto dei Servi della Chiesa, sarà da lui sempre considerato come opera di Dio e solo opera di Dio, malgrado numerose prove e immancabili difficoltà anche economiche (specialmente per il collegio di Guastalla) sempre confidando di percorrere la strada giusta nel volere del Signore e della Madonna, affidando le preoccupazioni materiali al buon economo S. Giuseppe.
Si delineava così, sia per i sacerdoti che per i laici, un innovativo stile di vita ecclesiale, sicuramente aderente alla verità evangelica: assoluta obbedienza all’Ordinario Diocesano, rigoroso impegno di povertà evangelica effettiva ed affettiva, servizio umile e gioioso tendente alla condivisione ed alla immedesimazione redentiva con i più poveri.

5 – Categorie abbandonate

Nel marzo 1931 Don Dino riceve un segno determinante per la sua missione sacerdotale. Mentre è all’oratorio San Rocco di Reggio, è avvertito che, in una carovana vicina, un’anziana zingara sta per morire. Subito accorso, accolto con viva cordialità da tutta la famiglia, le amministra i sacramenti. Ripassato nei dintorni qualche giorno dopo, non vede più la carovana, ma un piccolo circo in allestimento. L’anziana madre del proprietario, si avvicina e gli dice: “Venga Padre, siamo cristiani anche noi”.
Da allora, Don Dino si dedica all’evangelizzazione del popolo zingaro, dapprima aiutato solo dalle Donne di Azione Cattolica e in seguito da vari sacerdoti e laici. Sorge così l’Opera per l’Assistenza Spirituale dei Nomadi in Italia (O.A.S.N.I.) a tenore del decreto per la pastorale dei nomadi promulgato il 9 luglio 1958 da Pio XII, che nomina direttamente Don Dino Torreggiani primo Direttore Nazionale.
Mentre Don Dino è parroco di S. Teresa, nella zona oltre il torrente Crostolo, sorgono nuovi quartieri, dove vanno ad abitare i più poveri, in parte trasferiti per l’abbattimento di catapecchie della città vecchia, delle zone più popolari e spesso malfamate. Don Dino, in bicicletta, lascia temporaneamente i suoi parrocchiani per andare a celebrare la Messa o a fare il catechismo in quelle zone prive ancora di parrocchia: sono come pecore senza pastore (Mt 9, 36). Si serve di sedi provvisorie, come negozi ed autorimesse, per preparare la via alle future comunità parrocchiali.
Nel 1946, Don Dino viene nominato Cappellano delle carceri di S. Tommaso a Reggio Emilia, ufficio conservato fino al 1970. Da allora il suo posto è assunto da un altro sacerdote dell’Istituto, che continua tuttora. Verso il 1950, conosce Don Giuseppe Girelli, sacerdote veronese di cui si è concluso recentemente l’iter diocesano di canonizzazione. Subito nasce una fattiva e più che fraterna collaborazione che porta alcuni sacerdoti della Diocesi e dell’Istituto ad aiutare Don Girelli nella sua casa di Ronco all’Adige (Verona) e in alcune missioni volontarie nei penitenziari di tutta Italia.
L’evangelizzazione e l’assistenza ai carcerati diventano così una priorità pastorale di tutto l’Istituto. Per gli scarcerati che, a quel tempo, erano sovente rifiutati dalle famiglie, Don Dino apre varie case di accoglienza e riabilitazione, relazionale e professionale.
Come Direttore Nazionale dei nomadi, Don Dino inaugura una prima casa di accoglienza per gli anziani dello Spettacolo Viaggiante e Circhi Equestri (1952) a Scandicci (Firenze); poco più tardi, nel 1954, ospita a Villa Maria di Treviso i ragazzi studenti della stessa categoria e finalmente a Badia Polesine (Rovigo), nel 1955, apre per i fanciulli Sinti la Casa Divina Provvidenza.
Le molteplici attività di Don Dino Torreggiani vengono riconosciute dallo Stato Italiano che gli assegna varie onorificenze e dalla Santa Sede, che lo nomina Cameriere Segreto Soprannumerario di Sua Santità (1953) e, successivamente, Prelato d’Onore (1981).

6 – Apertura missionaria

Don Dino ha sempre avuto nel suo cuore l’ansia dell’evangelizzazione, in particolare il vivo desiderio di inviare i suoi figli in America Latina. Nel dicembre 1962, il Vescovo di Palencia (Spagna) José Souto gli offre una casa a Paredes de Nava. Il 12 gennaio successivo, Don Dino stesso dà inizio all’attività: nasce così l’oratorio interparrocchiale, vera novità pastorale nella Chiesa spagnola.
Col tempo, fra i giovani che frequentano l’oratorio, alcuni dimostrano una inclinazione alla chiamata. Per la loro formazione, il 25 marzo 1966, apre il collegio Mater Dei a Tordesillas, diocesi di Valladolid.
Durante il Concilio Vaticano II, Mons. Dino Torreggiani e Don Alberto Altana, vice-superiore dell’Istituto, incontrano a Roma Mons. Adriano Hipolito, Vescovo di Nova Iguaçu (Brasile) che, conosciuto il carisma dell’Istituto, chiede accoratamente l’invio di un sacerdote e qualche laico per la sua diocesi. Don Dino promette che lo avrebbe accontentato entro cinque anni.
Nel 1960 il Vescovo di Reggio Emilia Mons. Beniamino Socche, ricevendo Mons. Jérome Rakotomalala, neo Arcivescovo di Tananarive (Madagascar), gli promette di inviare entro alcuni anni delle suore diocesane: le Carmelitane Minori della Carità e nel frattempo invia come primo missionario fidei donum Don Pietro Ganapini. Nel 1966, mentre si prepara l’équipe missionaria, formata da preti, suore e laici, che partirà per il Madagascar, il Vescovo novello di Reggio Emilia Mons. Gilberto Baroni convoca Mons. Torreggiani e Don Altana e chiede loro di rinunciare ai progetti sul Brasile e di fare parte di questo gruppo. Il Fondatore non ha esitazioni: sceglie un sacerdote e un laico che partono con gli altri il 23 novembre 1967. Questa decisione è stata benedetta dal Signore col fiorire, sino al presente, di numerose vocazioni di laici, di donne, di seminaristi e giovani sacerdoti Malgasci.
Il sogno di Don Dino sul Brasile si è avverato solo nel 1991 quando il Card. Poletti, Vicario di Sua Santità per la diocesi di Roma, invia a Guarulhos (S. Paolo) Don Pietro Cecchelani, reggiano e Servo della Chiesa, che per ventisette anni era stato parroco a S. Gregorio Magno alla Magliana, altra periferia urbana estremamente cara a Don Dino.
Infine, in occasione del centenario della nascita del Fondatore, l’11 febbraio 2005, si apre una nuova presenza dell’Istituto ad Antofagasta (Cile), con l’invio del laico spagnolo Antonio Romeo Morlans che per trentadue anni ha lavorato tra i lebbrosi del Madagascar con l’équipe missionaria di Reggio Emilia.

7 – Fecondità sofferta e travagliata

Nel 1972, l’Assemblea dell’Istituto elegge Responsabile Generale Don Alberto Altana. Lo stesso Don Dino aveva chiesto l’avvicendamento per sperimentare in anticipo il dopo Don Dino. Questi viene eletto consigliere a vita.
La stessa Assemblea approva la terza stesura delle Costituzioni. Don Alberto rinuncia al suo incarico l’anno successivo; al suo posto, a Baragalla di Reggio Emilia, viene eletto Responsabile Generale il laico Renato Galleno che rimane in servizio per i quattro anni previsti. Poi è la volta di Don Angelo Scalabrini, eletto nell’Assemblea di Marola nel 1977: ha solo trentadue anni.
Per facilitargli il compito, il Vescovo Mons. Baroni che è presente alle votazioni, chiede ai tre capi storici di rinunciare al servizio di consiglieri: mentre Renato Galleno e Don Alberto Altana accettano all’istante, Don Dino obbedisce con molta sofferenza. Gli viene riconosciuto il ruolo di Padre dell’Istituto, ma non potrà più entrare in Consiglio se non occasionalmente.
Don Dino si ritira così nella casa che aveva fondato a Baggiovara di Modena per il recupero degli scarcerati, continuando a loro vantaggio il suo ministero sacerdotale.

8 – Immolazione, offerta e morte

L’amore di Don Dino verso la Chiesa intera e l’Istituto non conosce sosta: continua ad intercedere per il rinnovamento della Chiesa e vuole rilanciare i suoi figli verso nuovi orizzonti, in particolare la Spagna. La fondazione spagnola è sicuramente la pupilla dei suoi occhi, il sognato trampolino per l’America Latina e il Brasile in particolare.
La sua salute si è molto aggravata: da tempo soffre di diabete e ha problemi di cuore. Il 30 agosto 1983, nonostante le forti opposizioni, Don Dino parte per la Spagna. Ci sono i “segni di Dio”: la benedizione del Vescovo, il consenso del medico e il denaro più che sufficiente che la Provvidenza gli ha elargito. Vado in Spagna: se necessario, a morire!
Ed è là, tra le montagne dell’Alta Castiglia, in un piccolo paese di minatori, che lo coglie la sua ultima, grave crisi cardiaca: Castrejon de la Pena che è a centoventi chilometri dall’ospedale più vicino… Cessa la vita terrena a Palencia il 27 settembre: la Chiesa ricorda San Vincenzo de Paoli, il padre dei poveri. Il 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, il santo della povertà, si celebrano i funerali in duomo a Reggio Emilia. I poveri, i Sinti, gli scarcerati gli fanno corona orgogliosi di portare le sue spoglie, grati di offrire a Dio il padre che li ha sempre amati.
Il Vescovo Gilberto Baroni, di felice memoria, termina così la sua memorabile omelia: “Rinnoviamo il nostro grazie a Dio per averci donato Don Dino: per averlo donato in modo particolare alla nostra Chiesa reggiana. Preghiamo per Lui la pace e il riposo eterno. Gli sorrida la Madonna, che ha sempre accompagnato le fasi fondamentali della sua vita. Lo introduca in Paradiso San Giuseppe che era solito invocare: San Giuseppe, pensateci Voi!… San Vincenzo de’ Paoli lo abbracci come amico dei poveri. Maria, Serva del Signore, aiuti la nostra Chiesa in Sinodo ad essere missionaria e strumento di salvezza, Chiesa serva e povera per la salvezza di ogni creatura…”.
I famigliari e i Servi della Chiesa lo hanno sepolto nel camposanto di Villa Masone (Reggio Emilia), suo paese natale.