Verso la chiusura: il bilancio di don Daniele, cappellano da 25 anni
Prima di dire definitivamente addio agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) c’è da aspettare ancora un po’, ma la strada verso il superamento di questa forma di restrizione è ormai segnata. Dal primo aprile di quest’anno, dopo i decreti legge 211/2011 e 52/2014 e numerose proroghe, i sei Opg d’Italia (tra cui quello di via Settembrini a Reggio Emilia) saranno progressivamente dismessi. Coloro che al termine di un processo vengono giudicati non in grado di intendere e di volere al momento del reato e socialmente pericolosi sono ora indirizzati verso le “Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza” (Rems). Cambia il nome, ma soprattutto cambia il modo di gestire le persone inferme di mente colpevoli di reato. Da strutture con centinaia di posti (nelle quali, nonostante il nome di ospedali, si praticavano misure più di contenzione che di cura) a edifici con al massimo venti ospiti nei quali ad occuparsi dei pazienti è solo il personale sanitario. Il Dipartimento per la salute mentale delle Aziende Usl, in stretto contatto con l’autorità giudiziaria, dovrà valutare caso per caso l’attivazione di percorsi sanitari individuali alternativi dalla detenzione per proseguire le cure presso comunità terapeutiche. Non vi saranno più quindi strutture a servizio di aree macroregionali (l’Opg di Reggio ha accolto persone provenienti da tutto il nord Italia) ma edifici ad alto comfort abitativo messi a disposizione da ogni regione che deve garantire tante Rems per quant’è il suo fabbisogno. Le Rems sono sorvegliate da guardie giurate 24 ore su 24. I ricoverati non possono ovviamente uscire dalla struttura e devono rispettare tutte le regole già in vigore nell’Opg ad esempio per quanto riguarda le visite dall’esterno o i colloqui con i familiari.
L’Emilia Romagna ha attivato per ora due Rems. La prima è a Bologna, in via Terracini, la seconda si trova in provincia di Parma a Casale di Mezzani. A queste, entro il 2016, si aggiungerà una struttura residenziale in via Montessori a Reggio Emilia. Per i malati psichiatrici sottoposti a misure di restrizione della libertà si tratta di un grande passo avanti contro sovraffollamento e condizioni abitative al limite dell’umano riscontrate negli Opg. Una misura di umanità verso persone già provate dalla malattia. Negli Opg rimarranno per ora solo persone in osservazione, seminfermi di mente o soggetti ai quali la malattia mentale è stata diagnosticata in carcere. A Reggio sono una quarantina in tutto. Solo a termine di confronto ricordiamo che la struttura di via Settembrini è arrivata ad accogliere oltre 320 persone.
Chi da 25 anni conosce e frequenta i ricoverati dell’Opg è don Daniele Simonazzi, Servo della Chiesa e cappellano dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia dal 1990. “La posizione giuridica di quanti erano in Opg e si trovano oggi nelle Rems non è cambiata – commenta don Daniele – ma è cambiata la qualità del loro alloggio, ora molto più consono alla loro condizione di ammalati rispetto alle condizioni deleterie dell’Opg accertate dalla commissione parlamentare istituita dal senatore Marino nel 2011. Quello delle Rems è un grande passo avanti nella via della civiltà”.
Don Daniele, la legge che nel 2011 ha disposto la chiusura degli Opg poteva essere migliorata?
Nella legge non è stato tenuto conto del parere di chi ha subìto violenza e dei loro familiari. Questo ha generato allarmismo e la diffusione di notizie non vere, come il fatto che le persone sarebbero state rimesse in libertà, cosa non vera. Bisogna considerare anche che i ricoverati ritornano ora nella loro regione, ovvero nel territorio dove hanno commesso il reato e un gesto di apertura verso le vittime o i loro familiari sarebbe stato lungimirante.
Quale bilancio di questi 25 anni da cappellano?
Per la prima volta una comunità cristiana viene smembrata perché è stata trovata per i suoi membri una destinazione diversa e condizioni migliori. Ho perso degli amici, ma nelle Rems ho visto molti di loro rinascere ed è stata comunque una gioia, nonostante il distacco. Con molti di loro continuo anche adesso a rimanere in contatto. La Chiesa in Opg, intitolata a San Giovannni del Concilio, è una chiesa di poveri, perché si tratta di persone, come diceva don Dino Torreggiani, private della libertà, che è il bene più grande, e segnate dal disagio mentale. Però in questi 25 anni è stata una Chiesa che ha saputo ascoltare la parola di Dio con grande frutto. Un frutto che ha provato a condividere, anche in occasione della Gmg di alcuni anni fa quando sono venuti nel cortile dell’Opg i giovani della Diocesi. È una comunità cristiana che ha preso sul serio la Parola e che settimanalmente si ritrova a preparare le letture della domenica e le commenta. È una comunità cristiana che celebra l’Eucarestia, credo con frutto. È una comunità cristiana che vive la carità e si è data gli strumenti per evitare disparità economiche. Attraverso un fondo di solidarietà interno, chi ha più risorse economiche si fa carico di chi ha più difficoltà. È stata per me una consolazione sapere che alcuni ricoverati dell’ex Opg di Reggio trasferiti alla Rems di Bologna si sono radunati con alcune donne provenienti dall’ex Opg di Castiglione delle Stiviere (e anch’esse ricoverate alla Rems di Bologna), per recitare insieme il Rosario senza essere convocati da un sacerdote.
È senz’altro un bel segno di continuità con lo stile di vita cristiana appreso in Opg a Reggio. Cosa si può dire circa l’accompagnamento spirituale dei ricoverati nelle due Rems emiliano-romagnole?
A Bologna è stato già individuato un sacerdote cappellano; a Parma, pur essendo prevista questa figura, non è stato ancora trovato. Sul fronte dell’animazione pastorale sarebbe bello che le parrocchie che da pochi mesi hanno sul loro territorio queste strutture si sentissero provocate e accogliessero questa bella opportunità.
Qual è il lascito della Chiesa in Opg alla comunità diocesana?
Quella dell’Opg è una Chiesa che non può fare a meno dei rapporti interpersonali. In Opg c’era e c’è ancora una forte corrispondenza fra la ferialità dell’incontro con le persone e la partecipazione all’Eucarestia. Un primo frutto della Chiesa in Opg, da condividere con la Chiesa diocesana, è la irrinunciabilità del rapporto interpersonale e la irrinunciabilità dell’incontro tra persone. In Opg non ci sono social network, ma non per questo non si vive la comunione tra le persone. La Chiesa in Opg può condividere l’essenzialità nel vivere la fede. In Opg non c’è spazio per una pastorale che non sia essenziale ovvero che non sia centrata sulla parola di Dio e sui sacramenti. E questa centralità è resa vera dalla carità. Noi nelle nostre parrocchie, a volte, facciamo fatica a fare accoglienza. Ma in Opg può accadere che, anche di notte, ti vedi entrare in cella una nuova persona e ti devi stringere in una stanza che è già stretta (3 metri per 3 incluso il bagno ndr) e fare con lui i turni per dormire perché se no non ci stai. C’è una convivenza ed una carità molto spiccia che è l’accoglienza che si vive nelle celle e che non è affatto facile per persone fragili mentalmente. La Chiesa che è in Opg è una Chiesa povera. Ma un conto è parlare di povertà e un conto è parlare di miseria. Le persone che sono in Opg sono segnate dalla miseria, la Chiesa che è in Opg invece è una Chiesa povera. Ovvero ha saputo cogliere qual è il modo in cui Gesù ci ha salvati: da ricco che era si è fatto povero perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà. Si può vivere la carità anche nella povertà. Questo è il lascito di questa comunità.
Quale rapporto c’è stato in questi anni tra la Chiesa in Opg e la Diocesi? Innanzitutto abbiamo avuto un ottimo rapporto con i vescovi. In modi diversi, in questi 25 anni, non hanno mai fatto mancare alla comunità dell’Opg la loro vicinanza e paternità e ciò ha portato ad una comunione con loro. Condivido il servizio all’Opg con i diaconi Olinto Burani, Antonio Burani, Alberto Davolio e Marino Gallo: sono indispensabili non solo per il servizio festivo ma anche per la preparazione ai sacramenti, la diaconia del venerdì, il Rosario del martedì e l’animazione delle comunità parrocchiali. Dobbiamo poi ricordare il coinvolgimento di tante parrocchie per l’accoglienza in permesso dei ricoverati e la vicinanza particolare delle parrocchie di Sant’Agostino e Sant’Anselmo e di tante persone, anche professionisti (un ottico, un orologiaio) che in mille modi si sono rese presenti con la Chiesa che è in Opg.
Cosa è chiesto a noi ora, riguardando il percorso della comunità dell’Opg?
Ci è chiesto di prendere in considerazione la possibilità di cammini di riconciliazione e di mediazione. Questo è un aspetto da approfondire e cogliere nelle sue sfaccettature. Poi credo che sia necessario riflettere seriamente sui conflitti. In Opg, oggi nelle Rems, ci sono persone che hanno la consapevolezza di essere lì perché hanno commesso reati. E allora come comunità parrocchiali potremmo chiederci: se uno rientra dall’Opg ed abita nel territorio della nostra parrocchia quale cammino siamo disposti a fare con lui? Trovo che su questo fronte dobbiamo ancora lavorare. (La Libertà Emanuele Borghi)