Il sacramento della penitenza, o confessione, o riconciliazione, o del perdono, è oggetto di varie interpretazioni testimoniate dall’utilizzo di tutte queste diverse denominazioni.
Se diciamo SACRAMENTO DELLA CONFESSIONE mettiamo l’accento sulla accusa dei peccati, se diciamo SACRAMENTO DELLA PENITENZA rischiamo di fare confusione, perchè la parola PENITENZA si può riferire a 2 concetti: quello di PENA e quello di CONVERSIONE.
Prima della riforma del sacramento voluta da Paolo VI nel 1973, sull’onda delle riforme conciliari, tutta l’attenzione era centrata sulla CONFESSIONE dei peccati. Dopo la riforma (purtroppo in gran parte ignorata), l’attenzione è incentrata sulla CONVERSIONE, sul cambiamento di vita al quale siamo chiamati in modo permanente. E la conversione si ottiene ascoltando e meditando la Parola di Dio, che nella riforma viene messa al centro.
L’interpretazione e la amministrazione negativa di questo sacramento hanno portato all’allontanamento di massa dei fedeli che vi si accostano; in molte parrocchie i bambini lo vivono come un obbligo sgradevole da abbandonare appena possibile. Eppure è il sacramento che più di ogni altro ci aiuta a metterci in sintonia con la vita di Dio! Quando nella nostra vita c’è qualcosa che non va, il Padre non rimprovera, non minaccia castighi, ma ci inonda d’amore. Al Signore non interessa quello che abbiamo fatto, lo sa già, ci dice: “Sta zitto, non mi importa quello che hai fatto, mi interessa che tu sappia quanto ti amo!”.
La riforma supera quella preghierina orribile (che purtroppo ancora oggi viene insegnata ai bambini in alcune parrocchie) chiamata “Atto di dolore” che parla dei castighi divini, proponendo 8 formulari alternativi molto belli, presi dalla Scrittura. Sono possibili 3 riti alternativi: il rito individuale, il rito con più penitenti con assoluzione individuale, e il rito con più penitenti con assoluzione generale (poco applicato).
Occorre quindi un cambiamento di mentalità: il sacramento della riconciliazione non è il sacramento del perdono dei peccati (è l’ EUCARISTIA che perdona i peccati), è invece il sacramento che ci aiuta a CONVERTIRCI.
Di seguito riporto alcune brevi frasi molto efficaci prese dalle lezioni di don Enrico Mazza:
- Abbiamo fatto di questo sacramento un luogo di tribunale, uno strumento di controllo sociale e una farsa di cui ci si prende gioco nella pubblicità (quante volte, figliolo?)
- Non c’è bisogno di confessare sciocchezze, questo non è il sacramento della confessione dei peccati o della assoluzione, è CONVERSIONE DEL CUORE
- In una buona celebrazione di questo sacramento ci si sente a proprio agio, si sta bene
- Non ci confessiamo per venire perdonati, ma per convertirci. Siamo già stati perdonati in Cristo, tutto è già avvenuto sulla croce una volta per tutte.
- Si deve cominciare ad avere una mente che pensa come pensa Dio; questo si ottiene con un lento cammino di formazione sulla Scrittura, che va usata nel sacramento. Nella Bibbia, il peccato è il non ascoltare Dio, dialettalmente “non dare mente a Dio”, non formarsi alla sua mentalità
- La autoconversione non è possibile, si costruisce in comunità, dove c’è qualcuno che ti prende per mano
- Aprire il cuore non è dire i peccati, è molto di più. Il padre spirituale (che è colui che ti dice le cose che ti vuole dire Dio) deve conoscere tutta la tua vita. Come fa il padre spirituale a condurti se di te conosce solo i peccati?
- Oggi non ha più alcun senso distinguere tra peccato veniale e mortale, nel nuovo rituale questo non c’è
- La vera conversione implica una riparazione dei danni causati, non le “3 Ave Maria”: il peccato reca danno agli altri
Giovanni Dazzi
(bibliografia: Enrico Mazza, “La celebrazione della penitenza. Spiritualità e pastorale”, EDB, Bologna, 2001 + appunti delle lezioni di teologia dei sacramenti)