Il dono del Papa alla Diocesi commentato da don Mario Pini
Momento di grande gioia per tutta la Chiesa reggiana e in particolare per i Servi della Chiesa quando Il Vescovo Camisasca, durante il pontificale del 24 novembre ha dato l’annuncio che il Santo Padre, Papa Francesco, ha firmato il decreto che proclama venerabile don Alfonso Ugolini, il sacerdote diocesano Servo della Chiesa morto a Sassuolo il 25 ottobre 1999, a 91 anni di età.
Gianfranco Menani, sindaco di Sassuolo, ha espresso parole di compiacenza nel dare notizia alla cittadinanza di questo fatto importantissimo. Ha poi rilevato alcuni aspetti della vita di questo piccolo prete esile e all’apparenza debole, ma forte di una fede che gli ha permesso di compiere cose straordinarie, soprattutto per i deboli, gli ammalati e i poveri. Così ha espresso la sua gratitudine per il comitato che si è formato sotto la spinta dell’Ammirazione ed ha sostenuto con una grande carica di amore il processo diocesano di beatificazione e canonizzazione di questo infaticabile figlio della nostra terra.
Con questo decreto viene affermata l’eroicità delle virtù teologali e cardinali vissute dal nostro nella sua lunga vita.
Ora si attende il riconoscimento del primo miracolo da parte della Chiesa.
Molto si è scritto in questi anni sulla vita e le opere di questo campione dalla fede; dobbiamo essere grati a don Erio Bertolotti, suo primo biografo, che ha vissuto con lui vari decenni nella casa parrocchiale di San Giorgio, essendo parroco monsignor Zelindo
Lo snodarsi degli avvenimenti mette in rilievo il grave stato di indigenza vissuto all’interno di una famiglia povera e carente di salute e il succedersi di fatti che hanno misteriosamente condotto don Alfonso sotto la guida della Provvidenza e lo sguardo materno di Maria sin ai più alti livelli nella perfezione cristiana.
Interessante anche il racconto della vita del venerabile tracciato da Paolo e Laura Bertolani dal titolo “Una cattedrale nascosta”.
La lettura degli scritti, numerosi peraltro, che parlano di lui, inquadrano una persona che è passata davvero attraverso la grande tribolazione della vita e che ha sperimentato in tanti momenti aiuti straordinari.
Don Alfonso ha scelto una vita di povertà rigorosa spogliandosi di sé e donandosi totalmente al servizio incondizionato ai fratelli nella carità.
Seguito spiritualmente da don Zelindo, vero padre per lui, ha conosciuto don Dino Torreggiani agli inizi della fondazione dei Servi della Chiesa negli ultimi anni della seconda guerra mondiale.
La proposta di consacrazione al mondo attraverso i voti di povertà, castità e obbedienza, a totale servizio delle categorie più abbandonate, lo ha trovato pronto e generoso. Dopo il conflitto ha intessuto stretti rapporti con lui, fedele ai numerosi incontri di formazione, fino a raggiungere la professione perpetua che lo ha visto eroicamente fedele sino all’ultimo giorno.
I o lo incontravo durante i ritiri mensili a Reggio negli esercizi annuali nei vari centri che si sono succeduti, sempre animati da don Dino; ho apprezzato da sempre il giovane ricco di umanità, assorto nell’ascolto delle meditazioni e negli incontri di preghiera sempre propositivo, pronto al sorriso e dallo sguardo sereno. Poco a poco, ho conosciuto tante cose di lui: alla sera di una giornata piena si recitava insieme il santo Rosario passeggiando davanti al seminario di Marola.
Ormai era diventato un classico: alla fine don Alfonsino prendeva la parola e ci raccontava dei suoi fioretti; erano sempre espressione del suo grande impegno apostolico di carità nella visita ai poveri e agli ammalati, di conversioni clamorose. La Madonna non poteva venire meno a se stessa.
Un giorno, quando abitava a Sassuolo, Madonna di Sotto con i Lumetti, in uno dei tanti incontri personali – era diventato il mio direttore spirituale – gli chiesi un’intervista sulla sua vita; mentre scrivevo seguiva con attenzione la mia relazione e ad un certo punto la sua parola si fece più intensa.
“Quando è morta la mia mamma avevo 12 anni; un giorno ho sentito una voce: «Perché piangi? Ci sono io qui!»… sono corso a sfogarmi in chiesa davanti alla grotta di Lourdes: ne sono uscito confortato e rafforzato.
La mamma del cielo mi ha fatto capire che lei sarebbe stata sempre con me. Da allora ho sempre percepito la sua presenza al mio fianco. La presenza di Maria mi ha aiutato nella dura vita di Thionville nella casa di Enrico il povero minatore, con la mia mamma che godeva poca salute”.
A sette anni comincia il periodo sassolese, dopo il ritorno in patria della famiglia. Periodo che ha conosciuto fame, malattia, dolore, umiliazione… fino a tendere la mano per sopravvivere.
Guarito da una gravissima malattia polmonare, accolto dall’arciprete don Zanichelli, Alfonso diventa sagrestano, poi catechista, lavora in una segreteria parrocchiale aperta a tante necessità, fonda il Fraterno Aiuto Cristiano (il “F.A.C.”) e la sottosezione dell’Unitalsi per l’assistenza agli ammalati nei pellegrinaggi mariani.
Riceve dal Santo Padre l’onorificenza “pro Ecclesia et Pontifice” e continua anche il suo cammino verso l’altare iniziato con il vescovo Gilberto Baroni, che lo ordina diacono nel santuario della Beata Vergine di Bismantova e dopo qualche mese gli conferisce il sacramento del presbiterato nella arcipretale di San Giorgio in Sassuolo.
Paolo e Laura ben raccontano, nel testo citato, che don Alfonso era più che preparato al ministero dell’altare: aveva al suo attivo la laurea in “servizievolezza” e il dottorato in teologia della semplicità.
Da allora la sua giornata sarà un eterno Magnificat. Sostenuto dalla consacrazione con i santi tre voti, don Alfonso, sacerdote servo della Chiesa, ha vissuto la gioia e l’entusiasmo di una donazione totale a Maria, a Cristo e alla sua Chiesa che gli ha fatto pregustare il paradiso tutti i giorni della sua esistenza.
Una gioia di vivere che ha contagiato tutti noi che lo abbiamo conosciuto, amato e anche un po’ invidiato.
Mario Pini