a cura di PAOLO VECCHI e PAOLO SIMONAZZI
Zaira Veratti nasce in una casa di contadini di fronte alla chiesa di Buonacompra, frazione del comune di Bondeno, provincia di Ferrara, il 17 maggio 1919, da Margherita Brunelli, che faceva la mondina tra il Piemonte e il Pavese. Il cognome di Veratti le deriva dall’uomo che più tardi sposa sua madre e al quale lei rimarrà sempre molto legata. Zaira segue la famiglia in Piemonte, dove il padre putativo fa il bergamino (bovaro). I suoi studi si fermano alla prima elementare, dunque è analfabeta. Da giovanissima comincia a fare la mondina e altri lavori agricoli.
Durante la RSI si unisce ai partigiani della val d’Ossola comandati da Cino Moscatelli, che sarà uno dei liberatori di Milano. Fa la staffetta, prepara da mangiare ma, riferisce Zaira, porta sempre con sé un piccolo mitra. Quando la madre di Moscatelli si nasconde in un convento, lei e il figlio Cino la vanno a trovare, entrambi vestiti da suora. Zaira è un animo semplice, ce l’ha coi fascisti che aveva visto picchiare i suoi cugini socialisti, ma non con Mussolini che non vuole criminalizzare e che secondo lei ha fatto delle cose buone per i poveri. Secondo Zaira il Duce è stato rovinato dai camerati che gli stavano intorno. Ha un buon ricordo anche di Donna Rachele, perchè qualche volta le ha fatto l’elemosina. Non è anticlericale ma ha votato per lo più “falce e martello”.
Nella foto Zaira Veratti nel 1987 a casa Simonazzi con “Pavolo”: così chiama Paolo nel suo dialetto misto.
Nell’immediato secondo dopoguerra la troviamo in Lomellina e a Vercelli ha un fidanzato ferroviere di nome Natale. Le piace il cinema. Un giorno ci va con un’amica, c’è un controllo della polizia, non ha i documenti. Un poliziotto si dice disposto a chiudere un occhio se lei sarà gentile con lui. Zaira, furibonda, gli pianta le unghie in faccia graffiandogliela a sangue e gli strappa perfino la divisa. La arrestano, c’è il processo, nel quale viene difesa dall’avv. Pattoia del foro locale, che lei paga con delle uova. Prima della sentenza vede il poliziotto e minaccia di sottoporlo allo stesso trattamento se dovesse incontrarlo di nuovo. Condannata a sei mesi, in carcere fa la scopina.
Nel dopoguerra sposa Pierino Colombo di Settimo Milanese, quartiere operaio, nonostante la contrarietà della famiglia di lui. Il marito, poliomielitico, aveva studiato musica, lei dice diplomandosi maestro di pianoforte, comunque è suonatore di fisarmonica. Vivono facendo gli ambulanti, girando i mercati e le fiere tra Lomellina e Monferrato con una motocarrozzetta a tre ruote. Lui suona, lei vende i pianeti della fortuna e Lilli, la loro cagnina ammaestrata, gira tra la gente alzandosi sulle zampe posteriori, con al collo un cestino per raccogliere i soldi. Mario, il pronipote di Pierino, ricorda quando nei primi anni ’50, in occasione di una qualche festa, entravano rombando col loro mezzo, su cui c’era sempre la cagnetta, nei cortili di Baggio (MI) dove allora abitava. Mario ricorda Pierino e la sua fisarmonica e la Zaira che volteggiava a suon di musica come una gitana. Alla sera, a volte piuttosto brilli, con qualsiasi tempo ripartivano e si allontanavano sferragliando tra il fumo e il rumore della motocarrozzetta. Vivono a Mortara fino alla morte di Pierino, nel 1970, dopo aver svolto quella attività per una quindicina d’anni.
Da questo momento Zaira fa perdere le sue tracce, tanto che il nipote Mario pensa sia morta. Fa una vita da clochard, girando l’Italia a piedi o in treno, naturalmente senza pagare il biglietto. Conosce gli Orfei e lavora per il loro circo, lei dice anche come trapezista, più probabilmente come donna di fatica. Per qualche tempo divide la campina con una famiglia di zingari, i Truzzi. Impara qualche parola di Sinti, perciò oggi può sostenere di aver chiesto l’elemosina (manghel) ma non rubato (ciorel). Infatti Zaira per i suoi trascorsi e i suoi spostamenti parla un dialetto tutto suo fatto da parole ferraresi, piemontesi, zingare, ecc. Di solito dorme nelle stazioni o sulle panchine, ma ogni tanto trova qualcuno che la ospita. D’estate va in Romagna ad aiutare un’amica che vende le piadine. Vive della solidarietà della gente, nei bar trova sempre qualcuno che le offre da mangiare, perchè si fa benvolere per la sua simpatia. Gira soprattutto al nord e al centro ma si spinge anche al sud. A Bari viene ricoverata e registrata in ospedale in seguito alla frattura a un piede.
Zaira arriva a Reggio Emilia la sera del 22 dicembre 1984. Dorme su una panchina nella zona della stazione, comincia a nevicare. I vigili la vedono e la portano da Don Daniele Simonazzi, in via Adua. La madre del parroco pensa di ospitarla, dapprima solo per qualche giorno. La fa lavare, sciogliendole la lunga treccia di capelli appiccicosi. Zaira si trova bene, sembra disponibile a fermarsi. Ma ogni sei o sette mesi parte con il fagotto delle sue quattro cose, andando a piedi alla stazione. Non vuole pesare, ma dentro di lei scatta anche il richiamo della vita nomade. Se ne va alla mattina presto per paura che qualcuno la voglia trattenere. Poi, quando è stanca perchè l’età comincia a farsi sentire, chiama da un bar (ha una foto della famiglia Simonazzi con il numero di telefono): è a Senigallia, o a Forlimpopoli, o in Piemonte, o su una panchina a Reggio. E’ stata via anche tre mesi. Poi dai primi anni novanta si stabilizza definitivamente nella casa che l’aveva accolta tanti anni prima. Fino al febbraio del 2015 è autonoma, fa ancora qualche lavoro domestico. Poi si rompe il femore, cammina col girello, adesso vive in una casa protetta di Reggio Emilia ma, a novantasei anni, ha ancora una sua schietta lucidità.
Zaira aveva conosciuto Oscar Luigi Scalfaro quando faceva il giudice a Novara. Lui e sua figlia le facevano l’elemosina. Quando l’ormai ex Presidente della Repubblica è venuto a Reggio, in visita all’Oratorio don Bosco di via Adua, l’ha vista e si è ricordato di lei.
Di lei non si può non ricordare la sua fede. E’ la fede dei più piccoli, è la fede delle persone del Vangelo.come ci ricorda Don Daniele Simonazzi va rimarcato il suo modo di dare la pace data rigorosamente a tutti con un bacio su entrambe le guance e la sua preghiera dei fedeli attenta alle persone chiamate per nome, a quelle che non ci sono più ed a quelle che ci attendono.
La vita di Zaira Veratti meriterebbe un romanzo, o un film. Questo abbozzo di biografia, troppo veloce e inevitabilmente lacunoso, è basato sui suoi ricordi e di quelli di chi gli è stato attorno.
Nella foto Zaira riceve il saluto dell’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro