OMELIA di don Mario Pini durante il funerale di don Pietro

Masone, 7 marzo 2020

In questo sacro tempo quaresimale, tempo di penitenza, tempo favorevole per la nostra
salvezza, le Sacre Scritture ci propongono importanti riflessioni che ci aiutano a fare nostri
quei suggerimenti che ci vengono proposti da Gesù, nostro maestro.
Li possiamo riassumere in tre pensieri:
a. Conversione, cambiare senso di marcia, penitenza, riconciliazione.
b. Digiuno, elevarsi al di sopra della materia, distacco dagli affetti disordinati.
c. Elemosina, carità, condivisione, amore che si dona fino ad amare i propri nemici, fino al
dono della propria vita.
Gli orientamenti che ci vengono dati ci facilitano il cammino e ci aprono la strada della
felicità: “felice l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore! Beati
coloro che custodiscono la parola di Dio in un cuore buono e sincero e portano frutto con
la loro perseveranza!” (È il Salmo 118).
Sono parole molto appassionate per un cristiano, ma questa oggi, non è la nostra
intenzione.
Oggi siamo qui riuniti nella preghiera di suffragio per il nostro caro Don Pietro, Pierino, sul registro di battesimo. Don Pietro ci lascia ma non ci abbandona. Siamo in un gruppo
ristretto, così come ci è richiesto in questi tempi di difficoltà, per il morbo del coronavirus
che ci impone misure prudenziali per evitare il contagio. Ma ci auguriamo di non tardare a
celebrare una Santa Messa con la presenza dei tanti suoi parenti ed amici, di sorelle e
fratelli dell’Istituto dei Servi, non appena le circostanze favorevoli lo permetteranno.
Oggi vogliamo ricordare Don Pietro così come lo abbiamo conosciuto nei tanti anni che il
Signore ci ha concesso di condividere, nei quali abbiamo potuto apprezzare le doti della
sua esuberante natura.
Nasce a Secchio di Villa Minozzo, nella nostra provincia, il 25 luglio 1935; sono quattro i
figlioli quando muore la mamma Carolina. Pietro ha 4 anni di età. Subentra con tanto
amore Maria, la nonna paterna. Papà Domenico mantiene la nidiata facendo legna nei
boschi e qualche lavoro di campagna.
Nell’autunno del 1948 Pietro entra nel collegio San Giuseppe dei Servi della Chiesa a
Guastalla, dove inizia il curriculum degli studi che lo condurranno al sacerdozio il 29 giugno 1961.

Pietro è un ragazzo molto semplice, ha un carattere mite, una bella voce. Nelle feste al suo
paesello canta in chiesa. In alcune circostanze si esibisce con il coro degli adulti a cantare
nel tradizionale “maggio”, che rievoca le gesta dei Cavalieri antichi, nel racconto rusticano
dei poemi epici del Tasso, dell’Ariosto, del Boiardo….
Ora, in collegio, ritornano i ricordi, senza nostalgia; Pietro è molto applicato negli studi, e in seminario ottiene ottimi risultati.
Don Dino Torreggiani è orgoglioso dei suoi preti. Nel periodo di formazione in San
Giuseppe moltiplica gli incontri di spiritualità, e i contatti personali nei quali prospetta per
ognuno un campo di apostolato specifico. Per Pietro è il momento della gente dei Circhi
Equestri e dei Luna Park, con visite accompagnate, miranti ad evangelizzare nelle periferie
urbane sotto la guida del fondatore nei tempi liberi dalla scuola. Don Dino gli diceva: “tu
sarai il mio terzo successore!” e noi un po’ invidiosi e scherzando lo prendevamo in giro. …
Grande la stima che riponeva in lui, tanto che fino alla morte Don Dino lo volle come
responsabile di formazione in ordine all’osservanza delle Costituzioni dei Servi. Da
seminarista lo volle assistente agli studenti della casa di piazza Vallisneri a Reggio.
Appena ordinato sacerdote lo nomina direttore della casa di San Giuseppe Cafasso a Pieve
del Vescovo, a Corciano, in provincia di Perugia. Là vi erano assistiti vari ergastolani in
vacanza premio e vari detenuti giunti a fine pena, per il loro reinserimento sociale
attraverso il lavoro.
Dopo 2 anni, nel 1963, sempre in accordo con mons. Beniamino Socche, don Dino lo
invia a Roma, nella parrocchia di San Gregorio Magno alla Magliana, come viceparroco di
don Alberto Altana, cui succede nell’ufficio nel 1967. Sono anni di grande impegno
pastorale che vedono il giovane sacerdote guidare con saggezza e fermezza la sua gente:
ama e sa farsi amare e accettare. È parrocchia di recente fondazione (1962) e lui con
l’esempio e la parola edifica la comunità dei fedeli giunti da ogni parte (in pochi anni
raggiungeranno i 45000). Don Pietro, fiducioso nella Provvidenza, presiede alla
costituzione della chiesa parrocchiale in piazza Certaldo. Si circonda di validi collaboratori
nei consigli pastorali ed amministrativi. Con l’aiuto dei sacerdoti della Diocesi reggiana e di giovani sacerdoti studenti in varie università romane, organizza il culto delle quattro chiese della vasta Comunità. Sorgono le opere parrocchiali che fanno fronte alle esigenze dei fedeli: dalla catechesi alla Caritas, dallo sport al teatro, dalla liturgia sacramentaria agli incontri con le famiglie e con i ragazzi nelle numerose scuole del quartiere. Apre anche un
cammino di preghiera e di carità per i nostri missionari Reggiani in Madagascar, cui invia
ogni mese aiuti e soprattutto medicinali. Per anni Don Pietro continua a tenere
l’amministrazione della casa di Scandicci per l’accoglienza degli anziani dello Spettacolo
viaggiante e dei Circhi, fiore all’occhiello di Don Dino (medaglia d’argento per la redenzione sociale dal 1962, concessagli dal ministero degli Interni).
Come segno concreto di amore ai poveri don Pietro volle dedicare un settore della
canonica all’accoglienza di 12 bisognosi (=i dodici poveri di San Gregorio Magno),
costituendo una Casa della Carità e chiamando a dirigerla le Suore reggiane di mons. Mario Prandi, che, come buone mamme ancora oggi sono a fianco degli ospiti, aiutate da
generosi parrocchiani.
Ma Don Pietro aveva ancora un progetto da realizzare: da tempo pensava ad una presenza
missionaria in America Latina, per anni accarezzata da Don Dino, che voleva anche in
Brasile i suoi Servi. Fu così che nel 1990 chiese al vescovo di Reggio Emilia Mons. Gilberto
Baroni di poter incardinarsi nella diocesi di Roma, lasciando la diocesi Reggiana. Il vescovo acconsentì con dispiacere, pur riconoscendo la validità della richiesta. Così Don Pietro divenne “fidei donum”, il primo sacerdote missionario della diocesi del Papa!
D’accordo con l’italiano Mons. Giovanni Bergese, Vescovo di Guarulhos, nello stato di San
Paolo, l’8 gennaio 1991, a 56 anni, accetta la parrocchia di San Francesco di Assisi in città.
La diocesi abbraccia grande parte della periferia di San Paolo, ha un milione e mezzo di
abitanti e 35 sacerdoti! Don Pietro vi arriva con un piano prestabilito: costruire un centro
sociale, che chiamerà “Brasil vivo” per la formazione culturale dei ragazzi delle sette
favelas che occupano la periferia e circondano la chiesa di Nostra Signora di Loreto. Sono
ragazzi poveri e semi abbandonati dai 3 ai 14 anni che, nell’amore, trovano accoglienza,
scolarizzazione e un pasto caldo nei due turni scolastici giornalieri, raggiungendo un
miglioramento ogni anno. Don Pietro completa l’opera annettendo un Centro di
Informatica per adulti, provvidenziale, molto attrezzato.
Tutto questo è stato da lui realizzato in poco tempo, la Provvidenza non gli è mai mancata.
Molti i benefattori italiani, soprattutto della Magliana di Roma e dal Brasile. Lo Stato
riconosce la validità dell’ente morale costituito, concede la cittadinanza brasiliana onoraria
a Don Pietro (che ammette: “ne sono orgoglioso!”) ed inizia a devolvere generosi
contributi.
Ma gli anni passano e arrivano gli ottanta e lui è sempre impegnato a lavorare nelle molte
difficoltà della sua vita di prete di periferia. Pur ammalato per problemi cardiaci, è
sostenuto da una fede incrollabile, è fermo nelle sue decisioni, è guida sicura per varie
generazioni e padre autorevole per tante famiglie in difficoltà e tanti poveri spesso esclusi
dalla società. Si può affermare che il buon pastore non ha avuto paura di sporcarsi le mani
lavorando anche materialmente come muratore nel realizzare le opere, sia in Roma che in
Guarulhos, sempre presente nel suo gregge fino a “puzzare di pecora”.
Negli ultimi tempi sperava di affidare il “Brasil vivo” a qualche Congregazione religiosa, ma alla fine ha lasciato tutto all’ente morale da lui costituito, che oggi ne continua l’azione
benefica nel tempo.
Colpito da grave malattia, gli viene posta una valvola al cuore. Appena ristabilito, il 22
agosto 2018 ritorna in patria dove l’attende la sua casa di Scandicci, ma L’Alzheimer si
aggrava e gli dà l’umiliazione più grande, privandolo dell’uso della parola.
Don Pietro non ha mai perduto la serenità dello sguardo, né il sorriso affettuoso e
riconoscente. Così lo ha colto sorella morte sul far del giorno dello scorso 5 marzo.

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