La fedeltà al carisma dell’Istituto e il nostro impegno di promozione del rinnovamento ecclesiale, per la salvezza di ogni persona

I Servi della Chiesa ringraziano Dio
per il dono della loro vocazione,
e gli chiedono la grazia di perseverare in essa
fino al giorno del congiungimento definitivo ed eterno
con lo Sposo Divino, il nostro Signore Gesù Cristo.
art. 85 delle Costituzioni

 In occasione del 20 esimo della salita al cielo di don Alberto Altana pubblichiamo una sua riflessione del 1990: “La fedeltà al carisma dell’Istituto e il nostro impegno di promozione del rinnovamento ecclesiale, per la salvezza i ogni persona”:

LA FEDELTÀ AL CARISMA DELL’ISTITUTO  E IL NOSTRO IMPEGNO DI PROMOZIONE DEL RINNOVAMENTO ECCLESIALE, PER LA SALVEZZA DI OGNI PERSONA

Nel programma del!Assemblea Generale del prossimo luglio,  è prevista, nel mattino del secondo  giorno,   una Meditazione di  cui  è indicato il titolo:  “Compito del  Capitolo è salvaguardare il carisma”.

Il tema di questa meditazione è impegnativo. Perciò sarà  necessario  che  la  nostra preghiera comune su questo argomento sia preceduta da un approfondimento da parte  di  tutti, alla  luce  della grazia  dello  Spirito Santo.

Le riflessioni qui riportare si pongono in tale direzione; altre riflessioni dovranno  seguire,  così da giungere all’ assemblea  con una preparazione adeguata anche su questo punto.

  1.  L’art.  39 delle  nostre  Costituzioni così  dice: «Per la loro vocazione di consacrati  al servizio della Chiesa, essi sono chiamati anche ad essere,  in piena  comunione con  il  Papa  e con i  Vescovi, animatori  del  rinnovamento  della Chiesa  stessa, perché  sia sempre  più “serva e povera”».
  1.  Questa è  la  missione   con   cui   si  esprime   il nostro carisma.
    Se siamo chiamati  a servire la Chiesa,  questa nostra  vocazione  si   fonda   sull’amore  alla Chiesa,  quindi   conduce   ad  un  impegno   per promuovere il fine della  Chiesa:  la realizza­zione   sulla terra  di  una presenza  visibile del Cristo,   così  essa si  costituisce con  efficacia «sacramento universale di salvezza» (cfr. L.G. 48). Occorre che  il mondo,  che percorre una via. di  perdizione  nella  ricerca  del  potere   e della ricchezza, arrivi a “vedere” il Cristo  che in essa è presente, e quindi a seguirlo in una via di Salvezza,  conformandosi con  la sua grazia a Lui che  è Servo  e Povero.
  2. Questa missione del nostro Istituto non può risolversi  in un impegno di  fedeltà e coerenza da pane di ognuno, anche se questo è necessario.
    Occorre che  la fisionomia del!Istituto come tale sia una rivelazione del Cristo  Servo e Povero.
    Questa   fisionomia  dell’insieme   della  famiglia è molto  di  più  che  la somma di ciò  che i componenti raggiungono sulla via  della loro santificazione. La  fisionomia dell’Istituto è data anche, e principalmente, dalle  scelte generali che coinvolgono il suo insieme.  Questo è il frutto di un impegno di corresponsabilità da parte   di  tutti e di  ognuno,  e quindi  nella valorizzazione delle grazie che lo Spirito Santo distribuisce  tra noi.
  1.  Nella misura in cui  l’Istituto,  nel suo insieme, è fedele  al suo carisma,  si pone come  grazia di rinnovamento per  la comunità ecclesiale, e quindi,  di riflesso perché la Chiesa stessa sia fermento  profetico, nella  direzione della  giustizia, e quindi, oggi  con  particolare  urgenza, della  pace,  nella  società e nel  mondo.
    È profondamente significativo,  a questo proposito,  il  fatto  che le nostre Costituzioni (art. 26) chiedano ai Servi  della Chiesa  «la doverosa promozione  della  giustizia …  e quindi  la evangelica  condanna  delle situazioni  ad essa non conformi».
  1. La  fedeltà del  nostro Istituto  a questa sua missione è di importanza centrale. Coinvolge tutti i componenti della  famiglia – uomini e donne, giovani e anziani – così  che su di essa deve  concentrarsi  tutta la  nostra attenzione. Le  differenze che scaturiscono dai diversi atteggiamenti psicologici, conseguenti  alle diverse situazioni derivami dall’età o dalla posizione sociale, non sono da sopravvalutarsi: ciò sarebbe  pericoloso. Ciò  che  soprattutto conta, e che deve essere l’impegno di tutti con le modalità proprie di ciascuno,  è la fedeltà al comune carisma e alla comune  vocazione.
  2.  Tale nostra  fedeltà è incommensurabilmente più importante di qualunque  altro fine. È questo che ci costituisce strumento per «la salvezza di ogni  persona»  (Cost. art. 1).  Che cosa si può anche solo paragonare alla salvezzadi ogni persona, nel tempo  e nell’eternità?
  3.  Il carisma della nostra famiglia, da cui deriva la nostra missione nei confronti della Chiesa e del mondo,  è la vocazione ad una conformità al Cristo Servo  (Cost,  art. 3) e quindi al Cristo Povero, che   «non   ha  dove  posare  il  capo» (Cost.  art. 11).
  4. Il Cristo  servo  e povero è presente  nei  più poveri,   in  coloro di cui  nessuno  si occupa.   Questo  perciò è il punto  caratteristico  della vocazione      dei      Servi     della     Chiesa: «l’immedesimazione    nei    più    poveri», l’apostolato preferenziale «verso le categorie e le persone più bisognose di aiuto» (Cost.  art. 6).
  5. Nello stesso tempo  quel  Cristo che è Servo  e Povero, «si è fatto obbediente  fino  alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 8) e dona a noi la grazia  di  una obbedienza,  che deve essere sacrificio completo  della volontà  (Cost.  art. 23) in un atto di Fede nella presenza dell’autorità di   Cristo  Servo   nel   ministero  dei   Vescovi (Cost.  art. 3).
  6. Per esercitare  la nostra missione rinnovatrice nei  confronti  della   Chiesa  e  della  società, occorre che  la  nostra  fedeltà  al carisma  del servizio   nella  povertà  sia  tale da scuocere  il mondo,  preoccupato  del  potere  e  della  ricchezza.   Il Beato  Chevrier dice   che  «Il   faut étonner le monde d’ aujourd ‘hui»  (Tracce, pag. 16).
  7.  Se consideriamo la situazione  attuale sembra che la nostra povertà e la nostra immedesimazione con  i più  poveri  non sempre sia tale da scuotere il  mondo. Dobbiamo domandarci se il nostro stile di vita non   sia  spesso  troppo   simile   a  quello   del mondo; dobbiamo domandarci  se ciò non costituisce un’involuzione anziché  una  fedeltà crescente (Cost.  art.  1 1 ) al nostro carisma.
  8. La nostra   vocazione   alla   povertà    e   alla condivisione con  i più  poveri  dovrebbe tradursi   in   una   povertà    anche   nei   mezzi  di apostolato  (cfr.   Cost.   art.   13,3);  dobbiamo domandarci se certe “convenzioni”,  che possono  indurci  a  compromessi  con   la  nostra coscienza,  ci  conducano ad  una fedeltà  alle costituzioni  che ci  chiedono di evitare  «qualunque legame,  anche a fin  di bene, con centri di potere»  (Cost.   art. 18).
  9. Certamente dobbiamo  essere   secolari,   e quindi  «inseriti  nel contesto sociale ed ecclesiale».
    Ma le Costituzioni aggiungono:  «in  modo da poter operare  all’interno di esso quale fermento di vita evangelica».
    Se il contesto della nostra famiglia o del nostro lavoro   è quello  di  un ambiente  borghese,  è quello   della  porta  chiusa  particolarmente   ai poveri   più   ripugnanti,   c’è   il  rischio che  la secolarità venga interpretata come conformità della nostra vita allo  stile  borghese dei  nostri ambienti.
    Se  la  secolarità  è omogeneità,  la profezia  è rottura
    Come realizzare la nostra vocazione ad essere fermento profetico?

  10. Il Signore  ci  chiede  di avere  coraggio.
    Il  Signore   ci  chiede   una costante  preghiera, orientata a chiedere il coraggio necessario per essere fermento  profetico.
    Il Signore ci chiede  iniziative di rottura, senza paura della sproporzione tra  i mezzi e il fine, come  ci ha insegnato Don Dino.
    Il Signore  ci  chiede  iniziative profetiche, non tanto  come   singoli,   quanto  come   famiglia, nella comunione.
    Questo  può essere umanamente impossibile, ma «a Dio  tutto è possibile»  (Mr  19,  26).Don Alberto
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