Testimoni dell’Emmanuele, cioè del ‘Dio-con’

MESSAGGIO  DELLA  RESPONSABILE
Il “Dobbiamo  essere  testimoni  dell’Emmanuele, cioè  del ‘Dio-con’. C’è una presenza  del ‘Dio tra gli uomini’ che proprio noi dobbiamo assumere. E’ in questa prospettiva che cogliamo la nostra vocazione a essere una  presenza  fraterna di  uomini e  di  donne che condividono la  vita di musulmani, di algerini nella  preghiera, il silenzio e l’amicizia. Le  relazioni chiesa/islam balbettano ancora  perché  non abbiamo vissuto a abbastanza accanto a loro. Dio ha tanto amato gli algerini che  ha  dato  loro il  suo Figlio, la sua  chiesa,  ciascuno di  noi” (fr Christian, 8.3.1996)

Ricorre proprio  in  questi  giorni  (il  21  maggio) il  ventesimo  anniversario  della morte  violenta  (forse loro  non avrebbero voluto  che  fosse  chiamata ‘martirio’) dei 7 monaci trappisti  di  Tibhirine. La  loro  vicenda,  insieme a quella  dell’intera Chiesa dell’Algeria,  mi  pare  sia la  prima ‘traccia’  che  ci  deve  aiutare  a  vivere  in  pienezza  questo  tempo, questi pochi  mesi  che  ci  separano  dal  Capitolo. E’ la  storia  di  una  presenza piccola, ‘seminata’ nella  terra, profondamente secolare; una  famiglia che si è costruita  attorno  alla preghiera, all’Eucaristia e al  servizio  verso  tutti,  vivendo  anche  in  concreto  quella  ‘diaconia  della  pace’,  quell’impegno  nella  riconciliazione che  vorremmo vedere ricordato  chiaramente anche  nelle  nostre  Costituzioni. ‘Il  piccolo  numero,  il  provvisorio,  la  prova segnano  oggi  la  vita  religiosa’,  diceva fr Robert, che  nell’immediato  ha  raccolto l’eredità  dei  monaci: 3  parole  che ben si  addicono  alla condizione  attuale (o anche  passata?) dei Servi e su  cui  dovremmo  forse  riflettere  maggiormente,  guardando  anche  alle  tante ‘prove’ che  stiamo  attraversando come  Famiglia.

L’altra grande  traccia su  cui  riflettere credo sia  quella  che  continua ad offrirci  papa Francesco attraverso  i  suoi  gesti e  le  sue  parole,  davvero da Servo  della Chiesa. Ricordo l’invito fatto dopo la visita  a Lesbo a  considerare i  migranti non  un  problema  ma  una  risorsa, il suo  richiamo deciso: ‘i poveri  sono la proposta  forte  che  Dio  fa  alla  nostra  Chiesa affinchè essa  cresca  nell’amore e  nella  fedeltà’ (Messaggio alle  Caritas  italiane, 21.4.2016); ricordo  anche la  gioia  e l’affetto  con  cui  ha  accolto i malati e le ragazze (insieme  alle  loro  famiglie) con  cui siamo  stati a  Roma il 9 aprile  scorso. Proprio il magistero del Papa  è  una  delle  piste  di approfondimento  che ci siamo proposti in  vista dell’Assemblea Generale  di  dicembre, insieme al  valore a al servizio di  chi  vive la  sofferenza o la vecchiaia, dentro e  fuori dalla  Famiglia, alla  relazione  coi  Vescovi, all’attenzione al cammino  vocazionale, in  particolare  verso  la  consacrazione  secolare. Sarebbe  bello  che  in  Italia e  in  Madagascar le  Assemblee  regionali  fossero  l’occasione non  solo di una fotografia della  situazione  attuale  della nostra Famiglia, ma anche di ripresa di almeno  qualcuno di questi  temi, per avviare  un  confronto da proseguire poi a  dicembre.

Viviamo  dunque  un  tempo ‘forte’,  di  grazia,  che  ci  chiede sicuramente uno sforzo  sempre  maggiore  di  leggere  i  segni e  di ‘incarnarci’ lì  dove  il  Signore  ci  ha  posto,  seguendo le  orme dei  nostri  fondatori e dei  testimoni  del  nostro  tempo. Davvero c’è tanto  da approfondire,  alla  luce  della  Parola  di  Dio  e del  nostro  carisma, cogliendo  magari  come  prima  occasione  proprio  il  Consiglio  Generale di  fine  giugno e  le  Assemblee  dell’estate.

Purtroppo  (ma  forse  è  solo  una  impressione) il clima che  a  volte sembra  prevalere anche tra noi è quello della  stanchezza, del ripiegamento: siamo  pochi  (in  particolare  in  Europa), facciamo  già  tante  cose, crescono l’età e  gli  acciacchi… Siamo ogni  giorno  un  po’ più ‘orfani’, non  solo di  chi  ci  ha  lasciato  (per  ultimo  in  ordine  di  tempo  don  Nando), ma anche dello  slancio e  dello  sguardo ‘più  alto’ e ‘più profondo’  che  ha  fatto  muovere i  nostri  padri lungo  sentieri sempre  nuovi, dentro  e fuori la  Chiesa.

Ecco, il  percorso  verso il ‘rinnovamento’  delle  Costituzioni, che tanto  ci  preoccupa in  più  direzioni (la  fedeltà  alla  nostra  storia, i  tempi e  l’attenzione dell’autorità ecclesiastica, i modi della  nuova  organizzazione…) ci conduce  in  realtà  lungo  la  via  stretta  del  Vangelo e  del  servizio, accolti  e  vissuti con sempre  maggiore  consapevolezza, di  una  condivisione  seria  con i più  poveri, che  parta dal vivere insieme della  misericordia  del  Padre, di  una  attenzione crescente alle realtà in  cui viviamo. Proprio il  Papa, a  quasi  80  anni, ci  ricorda che non basta guardare  indietro  o  dire ‘abbiamo  fatto  abbastanza…’ , ma è  possibile sempre lasciarsi guidare dallo  Spirito a percorrere nuove  strade, a compiere nuovi  ‘segni’. Possiamo e dobbiamo  farlo insieme.

Anche la Parola di Dio della Festa della Trinità (Gv 16,12-15) ci  richiama  a questo essere  sospesi  tra passato  e futuro,  a ‘fare  memoria’ e  contemporaneamente a  guardare avanti, giocandosi  in  prima  persona,  lasciando  che il  Signore  prenda  del  nostro,  di  tutto ciò  che  ci  è  stato  donato e ne faccia annuncio del  Vangelo  per  i  fratelli.

Continuiamo a ricordarci a vicenda al  Signore;  in  particolare, accompagniamo  nella preghiera il Consiglio generale perché sia l’occasione di  una  riflessione  e di  un  confronto sincero e  appassionato alla  luce  della  Parola e  del Carisma.

Giovanna Bondavalli

Tratto dal “Vincolo” di maggio 2016

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