Mons. Zuppi e Mons. Lorefice
Attese da tempo, sono arrivate in contemporanea: il Papa accettata la rinuncia presentata dagli arcivescovi di Bologna e Palermo, Carlo Caffarra e Paolo Romeo, e ha contestualmente nominato i successori. Sulla cattedra felsinea mons. Matteo Maria Zuppi, vescovo ausiliare di Roma; a Palermo don Corrado Lorefice, parroco a Modica e vicario per la pastorale a Noto.
Di seguito alcune note tratte dai loro discorsi di saluto alla città.
Carissimi e carissime, mi rivolgo a voi con la familiarità che c’è per l’essere fratelli e sorelle. Lo siamo e lo scopriremo assieme. Quella di oggi non si può proprio dire che sia una sorpresa, considerando le tante anticipazioni pubblicate in queste settimane, iniziate ben prima che il diretto interessato sapesse qualcosa. Io, comunque, sono in realtà pieno di stupore. La vita del Vangelo apre sempre nuovi orizzonti, impensati, imprevedibili, appassionanti. È lo stupore di Pietro quando vede i tanti frutti inaspettati e si rende conto di quanto è peccatore. La grazia è sempre immeritata. La creta resta creta, anche se in essa è riversato il tesoro dell’amore di Dio. Conosco il mio limite e lo avverto ancora di più pensando alla lunga storia di santità della vostra Chiesa di Bologna. Vogliatemi bene e vogliatemi bene per quello che sono. Il vostro amore mi cambierà. Mons. Romero amava dire: «Io credo che il vescovo ha sempre molto da apprendere dal suo popolo». Avverto il mio personale limite, ma ho anche la consapevolezza che è Lui che chiama e non farà mancare la sua provvidenza. Questo mi riempie di serenità e fiducia. Inizia per me un nuovo servizio, insieme a voi. Camminerò volentieri assieme a voi, perché la Chiesa è mistero di comunione, visibile e invisibile, famiglia dove paternità e fraternità non possono mai pensarsi una senza l’altra.
Ringrazio Papa Francesco per la fiducia. È il mio unico titolo con il quale mi presento a voi. Ringrazio il Cardinale Caffarra del suo servizio di questi anni, generoso ed intelligente e gli assicuro la mia fraternità ed amicizia. Penso al compianto Cardinale Biffi e ai tanti che hanno lavorato prima di noi nella messe dove io e voi siamo chiamati ad andare a lavorare, mietendo quello che altri hanno seminato. Ringrazio e sento la responsabilità di seminare con voi, a nostra volta, perché altri possano raccogliere frutti. Il tempo è davvero superiore allo spazio! Questo anno Papa Francesco lo ha proclamato anno della misericordia. Non poteva essere migliore inizio. Ci metteremo assieme per strada, senza borsa e bisaccia, con l’entusiasmo del Concilio Vaticano II, per quella rinnovata pentecoste che Papa Benedetto si augurava. Me lo ha suggerito il Vangelo di domenica scorsa, quello dell’incontro di Gesù con Bartimeo, cieco e mendicante. Il Signore non rimprovera chi chiede anche se lo fa in maniera inopportuna. Egli si ferma, chiama vicino e ascolta, per trovare la risposta alla domanda che agitava quell’uomo, per comprendere la sua richiesta, così umana e drammatica, di luce e di futuro. Gesù non condanna ma usa misericordia «invece di imbracciare le armi del rigore», come diceva Giovanni XXIII. Infatti senza ascolto e senza misericordia si finisce tristemente per vedere, come continua Giovanni XXIII, «certo sempre con tanto zelo per la religione», ma solo «rovine e guai».
A cinquanta anni dal Concilio voglio provare, con voi, a guardare il mondo e ogni uomo ancora con quella «simpatia immensa», volendo la Chiesa di tutti, proprio di tutti, ma sempre particolarmente dei poveri. Insieme faremo un pezzo di strada. Con la gioia del Vangelo. Mi perdonerete all’inizio qualche inflessione romana. Ma c’è una parola che imparerò subito, perché voi la pronunciate con un accento che mi ha sempre ricordato un tratto molto materno: «teneressa». È quella che chiedo alla Madonna di San Luca, perché mi e ci protegga.
Mons Zuppi 27 ottobre 2015
Care Sorelle, Cari Fratelli,
mi rivolgo a voi stasera con grande emozione e con profonda gioia. A voi, che siete il popolo santo di Dio della Chiesa di Palermo – che da stasera diventa la mia diletta …..A tutti dico ‘grazie!’. In primo luogo a chi questa Chiesa stasera mi consegna dopo avervi lavorato con amorevole dedizione:…. E poi un ‘grazie’ sentito anche a voi, rappresentanti delle altre confessioni cristiane, della comunità ebraica e della comunità islamica che con squisito (e da me graditissimo) pensiero avete scelto di essere qui in questo giorno: a dirmi la vostra vicinanza, a darmi la vo-stra preghiera. Il dialogo con tutti voi sarà fondamentale per me in questi anni avvenire: sarà un’urgenza e una gioia. ‘…Grazie’ infine (ma vorrei dire ‘in principio’) a tutti voi che indipendentemente da ogni appartenenza, da ogni ruolo, da ogni credenza, siete affluiti qui stasera come donne e uomini spinti semplicemente dal desiderio di esserci, qui a rappresentare simbolicamente per me l’umanità intera nella sua dignità, nella sua essenziale tensione a stare insieme, a partecipare alla cosa di tutti. Vengo in mezzo a voi anzitutto come un uomo che vuole condividere i suoi sentimenti e la sua storia….., perché questa è stata sinora la mia vita, così bella, così intensa e così normale, proprio per questo la scelta operata dal vescovo di Roma, da papa Francesco – che qui ricordo insieme a voi con grande affetto – la scelta, dicevo, di affidarmi la Chiesa di Palermo mi ha in un primo tempo spiazzato…. Ma accanto a tutto ciò, giorno dopo giorno, ho sentito crescermi dentro, mentre venivo travolto dall’affetto, dall’amicizia, dalla solidarietà di tanti di voi, un senso di confidenza, una speranza sempre più forte: la sensazione di prepararmi alla consegna definitiva della mia esistenza a colei che diventava la mia sposa, da amare fedelmente, da onorare, da portare nel cuore. E ho pensato che questo significa anzitutto essere vescovi: sentirsi sposati, rimanere fedeli, condividere tutto. Ho capito quanta ragione abbia la Prima Lettera a Timoteo quando esige che il vescovo sia anzitutto uno che sappia aver cura della propria famiglia e che così governi la Chiesa di Dio (cf. 3, 4-5).
La scelta di Francesco mi ha colto nella quotidianità del mio essere uomo, del mio essere cristiano, e tale sono qui stasera davanti alla mia Chiesa. Posto accanto ad ognuno di voi in ascolto del Vangelo, che è tutta la nostra ricchezza, tutta la nostra forza. …Non abbiamo altro da far vedere, da vivere e da dare al mondo se non la potenza di questo annuncio portato da Gesù di Nazareth nel cuore della storia umana: Dio ci ama, ama ogni donna e ogni uomo, prima e indipendentemente da ogni merito e da ogni virtù. Ci ama mentre siamo poveri e peccatori (cf. Rm 5, 8). Per questo la Chiesa è la casa di tutti, la casa che per fedeltà al Vangelo del suo Signore accoglie tutti e non ha nemici, non alza barriere, non accampa diritti o privilegi. Il primo compito del vescovo è questo: ascoltare il Vangelo insieme alla sua Chiesa, farsi giudicare, farsi condurre e sollevare dalla potenza di questa Bella Notizia che ogni uomo sente nel profondo, al di là di fedi e di appartenenze, perché il Vangelo non ne conosce (il ministero di Papa Francesco ce lo rammenta ogni giorno). Durante la celebrazione non per nulla sopra il mio capo è stato tenuto, come un segno, l’Evangeliario, il libro dei Vangeli. Perché io non dimentichi di rimanervi sotto, di servirlo.
Non ho piani da proporvi, non ho programmazioni pastorali da inculcarvi, ma vi chiedo solo di aiutarmi ad ascoltare la chiamata che mi ha portato qui tra di voi, di continuare ad ascoltarla e di lasciarci insieme guidare dal Vangelo. Papa Giovanni XXIII che ci ha donato il Concilio, rinnovata Pentecoste del nostro tempo, ci ha detto che non è il Vangelo che cambia ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio. Ecco la fonte della Chiesa povera e dei poveri che oggi Papa Francesco ci consegna e che ho avuto modo di approfondire in questi anni nel contributo del card. Giacomo Lercaro e di don Giuseppe Dossetti al Vaticano II. Perché la paternità del vescovo, come sappiamo non significa esercizio di potere e di dominio…-Voglio dunque con voi ascoltare il Vangelo, ricordarvi la sua bellezza e il suo dinamismo (è questa l’unica cattedra che concepisco), e al contempo desidero ardentemente, in tutto il mio ministero, ascoltarvi: con passione, con dedizione quotidiana. L’ascolto autentico del Vangelo e l’ascolto degli altri nella verità sono due azioni intimamente connesse. Voglio ascoltare voi, sorelle e fratelli diletti, voglio ascoltare voi, presbiteri della mia Chiesa, sin d’ora da me molto amati.
Voglio immettermi nella vivente e ricca tradizione di questa Chiesa di Palermo, ascoltare la sua santità e la sua fede operante, imparare come essa accoglie e vive la Parola di Dio ospitata nelle pagine del-la Scrittura e nelle pagine della sua Storia, come si conforma al suo Signore nei segni sacramentali della Chiesa – la Frazione del pane, l’ascolto orante della Parola, i Poveri e i Piccoli – e negli eventi della storia, nei segni dei tempi. Voglio immergermi nel vissuto e nella storia di questa grande città che è Palermo, con ammirazione e rispetto, per ascoltarne il respiro, per essere aperto alla parola di ognuno, sapendo che lo Spirito come il vento «soffia dove vuole» (Gv 3, 8), e che il Regno di Dio è ben più grande della Chiesa. La Chiesa, è solo il Regno «praesens in mysterio» (LG 3), chiamata a riflet-tere non una luce propria bensì la luce del suo Signore e Maestro.
….. Ascoltare vuol dire dunque saper guardare al passato, custodire la memoria. La memoria dei santi e dei martiri, prima di ogni altra. La memoria della Chiesa che è stata di Mamiliano e di Giacomo Cusmano, di Rosalia e di don Pino Puglisi. La memoria di una Chiesa che in tante forme e con grande creatività condivide e solleva la fatica di chi stenta a vivere: penso tra gli altri alle tante iniziative della Caritas diocesana e delle Caritas parrocchiali, alla Missione speranza e carità di Biagio Conte, alle Mense della carità, ai servizi per i migranti: dall’oratorio santa Chiara al Centro Astalli, ai Centri sociali e così via. La memoria di una terra che è stata terra del martirio di Piersanti Mattarella e di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Rosario Livatino e di Peppino Impastato, di Giovanni Falcone e di Francesca Morvillo e di Paolo Borsellino e degli eroi umili delle loro scorte, di uomini e donne che, insieme ai tanti altri, esprimono il sussulto di dignità e il profondo desiderio di giustizia di questa terra violata e violentata, dominata a volte da potenze straniere ma soprattutto sfigurata dalle forme perverse di dominio germinato nella sua stessa carne. Terra di quanti, anche se non caratterizzati per appartenenza religiosa, da anni sostengono la cultura della legalità e la rivendicazione dei diritti della persona e in particolare il diritto alla case e al lavoro di tanti disperati promuovendo anche l’utilizzazione dei beni confiscati alla mafia.
…. Vuol dire essere dalla parte dei poveri, a cui voglio stare accanto e che avrò sempre come bussola della mia vita in mezzo a voi: penso alle famiglie economicamente, affettivamente e spiritualmente più disagiate; a chi è tenuto ai margini, a chi non è nemmeno consi-derato; ai bambini, agli anziani, agli ammalati, agli ospiti degli istituti penitenziari; alle donne violate, a chi fugge dalle guerre e dalla fame; a chi piange, a chi non ha nessuno; a chi soffre e dà la vita per la pace e per la giustizia. E questo comporta per me fare argine concretamente, con forza, insieme con voi e con tutto me stesso, ai «poteri di questo mondo» che vogliono annientare la dignità e la bellezza del nostro essere uomini. Perché questo è la mafia e questo sono tutte le mafie, in ogni forma e in ogni parte del mondo: l’opera di gente che ha perso di vista il volto dell’altro, che è pronta a calpestarlo perché vive nella costante strumentalizzazione di ogni essere. E per questo la vita di costoro è disperata, è infelice. È una vita che ha perso il suo senso e la sua gioia, che va verso il nulla, gettata com’è nell’abisso dell’odio. E mentre ne dichiariamo senza mezzi termini la follia, dob-biamo credere questa stessa vita sollevabile, redimibile, facendoci, come il Signore Gesù, ascoltato-ri feriti anche del dolore illegittimo del colpevole, inermi (e per questo forti) testimoni di una parola che non ha paura di richiamare l’uomo a se stesso, ma che salva senza inimicizia e senza odio: il nostro don Pino Puglisi è lì a dircelo con la sua testimonianza, con tutta la sua esistenza.
Ascoltare il Vangelo, ascoltare l’altro, aver cura, amare, far crescere; volere il bene di chi ti è affidato, accompagnandolo su ogni strada, condividendo la vita con lui senza risparmio e senza giudizio: questo mi pare in fondo il compito affidato al vescovo. Vivere radicalmente cioè la missione del Figlio dell’uomo, «che è venuto per servire e non per essere servito» (Mc 10, 45). …È con questi sentimenti che inizio il mio ministero in mezzo a voi….. Perché Egli ha deciso di entrare – come ci ricorda il Vangelo di Luca – nella storia dominata dai grandi, dai re e dagli imperatori che opprimono i popoli (e oggi noi possiamo dare un nome preciso all’oppressore, ovvero a questo sistema economico crudele che affama le genti e distrugge il pianeta, riducendo gli uomini ad una merce di scambio), per contribuire a cambiare il corso delle cose, operando attraverso tutti coloro che ‘cooperano’ per il Vangelo. Su questa via andremo fianco a fianco, io per voi, ma soprattutto voi per me, in quella reciprocità amorevole che si addice agli sposi. «Grande è il Signore che vuole la pace dei suoi servi» (Sal 34, 28). Per questo beneditemi dal profondo del cuore e pregate per me.
+ Corrado Lorefice
Arcivescovo di Palermo