Lettera al Vescovo Massimo

Reggio Emilia, 28 luglio  2014

Reverendissimo Padre,

siamo un gruppo di laici battezzati, di sacerdoti e diaconi, costoro insieme alle loro spose, di consacrati/e, legati dall’amicizia e dalla comune eredità spirituale lasciataci da “profeti e dottori” della nostra Chiesa che hanno prodotto, prima, durante e dopo il Concilio, frutti abbondanti di opere di carità, di iniziative missionarie e di rinnovamento ecclesiale.

Le scriviamo a proposito del Diaconato permanente, in questo tempo detto ordinario, in realtà  tempo di Pentecoste, primavera dello Spirito, da cui proviene ogni dono e ministero per il bene della Chiesa e la salvezza dell’umanità.

Il diacono con il suo ministero, originato dall’imposizione delle mani del Vescovo invocante lo Spirito Santo, rivela e ricorda a sé stesso, alla propria famiglia e a tutto il popolo di Dio che i doni dello Spirito sono ricevuti e accolti per essere condivisi e offerti attraverso il servizio.

Ora, essendo a conoscenza della intenzione di Vostra Eccellenza di offrire linee orientative/direttive circa questo particolare ministero ecclesiale, ci è sembrato opportuno e doveroso presentarLe il nostro modesto contributo, ispirandoci sostanzialmente al pensiero e agli scritti di don Alberto Altana e dei diaconi GianPaolo Cigarini e Osvaldo Piacentini, che a Reggio Emilia, un po’ ovunque in Italia e anche all’estero, hanno contribuito in modo appassionato e competente alla riscoperta del Diaconato. Particolarmente significativa, al riguardo, la rivista «Il Diaconato in Italia», a cura della Comunità del Diaconato in Italia, di cui sono stati ideatori e promotori , a partire dagli anni ’70.

Non è casuale che sia stato don Giuseppe Dossetti, loro grande amico e concittadino, a formulare per i Padri Conciliari il famoso quesito (insieme ad altri 4 riguardanti l’Episcopato stesso) che aprì la strada al ripristino del Diaconato permanente: “Piace ai Padri… che debba essere considerata l’opportunità di instaurare il Diaconato come grado distinto e permanente del sacro ministero, secondo l’utilità della Chiesa, nelle diverse regioni?”.

L’impegno di don Altana e amici, di don Dossetti e del Card Lercaro nel proporre il rinnovamento della Chiesa, in conformità a Cristo servo e povero, ha trovato esplicita conferma nella Ecclesiologia del Concilio .

Don Altana, in particolare, considerando la frase “il Figlio dellUomo non è venuto per essere servito, ma per servire”(Mc 10,45), con i suoi paralleli sinottici, l’espressione scritturistica più frequentemente citata nei documenti conciliari, ha continuato a sostenere con tutte le forze l’originalità del servizio cristiano come diaconia di Cristo e la specificità del sacramento dell’Ordine nel grado del  diaconato come la sua espressione ministeriale più appropriata.

Egli colse ed elaborò il duplice legame inscindibile tra la vocazione di tutti i fedeli al servizio e il Diaconato (quale segno sacramentale di tale comune vocazione) e tra l’edificazione di una Chiesa povera e missionaria e il Diaconato (in virtù della grazia sacramentale specifica).

Per don Altana il Diaconato era ad un tempo “fattore ed espressione del rinnovamento della Chiesa”. Sembrava un suo slogan… In realtà coincideva perfettamente con le indicazioni di Paolo VI nel Motu Proprio “Ad pascendum” (1972), là dove il Papa spiegava che “il Diaconato fu ripristinato come ordine intermedio tra i gradi superiori della gerarchia e il resto del popolo di Dio, perché fosse in qualche modo interprete delle necessità e dei desideri delle comunità cristiane, animatore del servizio, ossia della diaconia della Chiesa presso le comunità cristiane locali, segno o sacramento dello stesso Cristo Signore, il quale non venne per essere servito, ma per servire” (Mt 20,28).

 

 

Fondamentale, al riguardo, è stata per don Alberto e continua ad esserlo per noi, la triplice espressione della Lumen Gentium, 8: “Come Cristo… così la Chiesa”, per indicare l’identità della vocazione e della missione di Cristo e della Chiesa per la salvezza dell’intera famiglia umana.

Questo testo conciliare, incessantemente riproposto e approfondito da don Altana, ha espresso e promosso, anche nella nostra Diocesi, una particolare accentuazione della Diaconia come vocazione essenziale della Chiesa, “sacramento universale di salvezza” attraverso l’annuncio, la comunione, il servizio, la missione.

 

E di questa Diaconia della Chiesa, il diacono è da considerarsi segno sacramentale specifico, come ha sintetizzato anche Giovanni Paolo II: “Il diacono contribuisce a far crescere la Chiesa, come realtà di comunione, di servizio, di missione… egli è animatore di comunità o di settori della vita ecclesiale… egli personifica Cristo Servo del Padre” (Convegno CEI, 16 marzo 1985).

 

In quest’ottica, “mentre il ministero del presbitero sottolinea la rappresentanza di Cristo Pastore e Sacerdote, per cui la sua missione si esprime nell’armonizzare i diversi carismi e ministeri e nell’animazione della vocazione sacerdotale del popolo di Dio, il ministero del diacono sottolinea la rappresentanza di Cristo Servo, per cui la sua missione si esprime nell’animazione della vocazione al servizio dello stesso popolo di Dio” (don Altana, AA.VV., Presiedere alla Carità, pp. 207-226, Marietti, 1988).

Da questo si evince che i ministeri del presbitero e del diacono sono da considerarsi articolazioni complementari del sacramento dell’Ordine con il quale nella Chiesa si continua il ministero apostolico. La pienezza di tale ministero si trova nel Vescovo. Di questa grazia, con sottolineature diverse e complementari, partecipano i presbiteri e i diaconi.  Ad alcuni di noi viene in mente la felice sintesi scritta da don Dino Torreggiani :”Vescovo, presbitero, diacono: ecco la Diaconia perfetta!”

Con parole simili si esprime anche il Documento finale dell’Assemblea di Puebla del 1979 (n. 697): “Il Diacono, cooperatore del Vescovo e del Presbitero, riceve una grazia sacramentale propria. Il carisma del diacono, segno sacramentale di Cristo Servo, ha una grande efficacia per la realizzazione di una Chiesa serva e povera, che esercita la sua funzione missionaria in ordine alla liberazione integrale dell’uomo”.

Ora considerando che “il servizio è inscindibilmente legato con la povertà e che il servizio stesso è tanto più urgente quanto maggiore è il bisogno delle persone cui si dirige, il carisma del diacono deve considerarsi diretto a promuovere un Chiesa serva e povera” (don Altana, ibidem), orientata costantemente e concretamente ad una scelta preferenziale per i più poveri. Questa non deve considerarsi limitativa o esclusivista; essa, piuttosto, è fonte di grazia per tutti, in quanto stimola in tutti, persone e comunità, un cammino di conversione e di rinnovamento, di impegno per la dignità e la salvezza di ogni persona, di resistenza evangelica contro ogni forma di ingiustizia ed oppressione.

Così, quando il Vescovo impone le mani per l’ordinazione dei suoi diaconi, costoro ricevono una grazia particolare per promuovere nella Chiesa e nel mondo uno stile di comunione e uno spirito di servizio: “vengono consacrati al servizio per stimolare al servizio, attraverso l’annuncio del Vangelo, l’animazione della liturgia, le opere di misericordia” (don Altana, ibidem). Per adempiere alla loro missione in modo efficace, essi promuovono l’incontro tra le persone e le famiglie, soprattutto animando nelle case quelle piccole comunità interfamiliari (spesso chiamate “diaconie” o “centri di ascolto della Parola”), che diventano punti di irradiazione evangelica ed apostolica. Ci sembra importante che la compresenza, la complementarietà e la corresponsabilità abbiano a crescere nella nostra Chiesa e in ogni comunità locale concreta. E’ reale e diffusa la sensazione di una scarsa condivisione a livello ministeriale, per cui non di rado molto viene demandato ad altri, alla solita ristretta cerchia di eletti, in primis al presbitero che spesso prosegue dritto per la sua strada, chiedendo manovalanza ma senza suscitare partecipazione/condivisione.

 

 

 

 

Concretamente ciò significa lavorare per l’unità dentro e fuori la comunità, in spirito di verità e  rispetto, costruire a partire da ciò che unisce piuttosto che fermarsi a ciò che divide.

Significa richiamare a se stessi e agli altri le motivazioni evangeliche del nostro operare, partendo sempre, ostinatamente dalla Parola di Dio, disposti a modificare i progetti, a rinunciare all’affermazione di sé, alla presunta superiorità intellettuale o di ruolo, ai pettegolezzi velenosi. La comunione genera comunione, il servizio genera il servizio. Il diacono deve lavorare per la comunione e per il servizio , vivendo sulla soglia, come è stato spesso ribadito, rivolto all’esterno ma presente all’interno della comunità, con la missione di invitare, di accogliere, di armonizzare.

 

Siamo tutti preoccupati per la progressiva scristianizzazione delle nostre regioni…

“La  comunità cristiana deve riconoscere l’esigenza urgente di valorizzare tutti i doni che il Signore le dà. In particolare, la grazia del diaconato deve essere valorizzata per dare alle nostre comunità una fisionomia missionaria, perché raggiungano tutte le persone, particolarmente gli infermi, e tutte le famiglie, ciascuna nel proprio ambiente, condividendo con tutti gioie, dolori, problemi e speranze, e portando ad ognuno il gioioso annuncio dell’amore del Signore” (don Altana, ibidem).

 

Ci torna in mente l’omelia del Vescovo Mons. Gilberto Baroni, pronunciata a Reggiolo il 10 settembre 1988 in occasione dell’Ordinazione del diacono Fabrizio Fusari: “Compito del diacono sarà di testimoniare la gioia che è possibile mantenere anche nella croce, anzi che scaturisce proprio dalla croce. Abbiamo bisogno di comunità cristiane nelle quali il Vangelo della croce sia accolto con fede, e praticato con amore: i diaconi devono contribuire molto a edificare queste comunità. Lo fanno col servizio della predicazione a loro affidata; col servizio quotidiano dei poveri, dei malati, degli anziani, delle persone sole, di coloro che la società trascura perché non operano più in modo produttivo, ma che davanti al Signore hanno un valore più grande, proprio per la loro debolezza. A queste persone i diaconi dovranno far capire che nella comunità cristiana non solo sono accettate, ma riconosciute come portatrici di un valore speciale a motivo della loro somiglianza col Signore. Potessero davvero le nostre comunità diventare animate da questo spirito di fraternità e di servizio, tanto da annunciare a tutti la novità che viene dalla fede” (Il diaconato in Italia, dic.1988, pag. 111).

 

Testimoniare e annunciare il Vangelo ai lontani, ai giovani, ai nuovi arrivati, ai non praticanti, ai diversamente credenti, ai cristiani anonimi, incontrati nella quotidianità professionale e nel tempo libero, nelle attività ricreative e culturali, nelle feste di paese e di quartiere, nei più diversi settori della vita e della convivenza umana, nelle relazioni interpersonali di accoglienza e solidarietà, come nei terreni minati della vigilanza e della custodia della dignità umana e del creato: non intendeva forse questo l’Episcopato Italiano, nel suo documento del 1971 sulla “Restaurazione del diaconato permanente in Italia”, quando considerava il rinascente diaconato soprattutto “per una evangelizzazione capillare… più diffusa” (n. 9), in una parola più missionaria, radicata e incarnata nel territorio?

E poichè il territorio, quello  locale e nazionale come quello  universale, è gravemente segnato da conflittualità, ingiustizie sociali  e violenza, come non sentire l’urgenza di un impegno specifico in quella che potremmo chiamare diaconia della pace e della riconciliazione?  Se la Pace è il primo dono del Signore Risorto alla sua Chiesa, è anche implicitamente il primo servizio affidato alla Chiesa. Ci sembra che il diacono possa essere nel mondo familiare, ecclesiale e sociale  un segno sacramentale specifico al riguardo.

 

 

 

 

 

Cogliamo l’occasione per sottolineare attraverso le parole di Mons. Ablondi un aspetto della missionarietà vissuto con particolare sensibilità anche da alcuni diaconi della nostra diocesi insieme alle loro spose, quello della universalità, legata al dono dello Spirito:  « Il diacono non è esclusiva- mente a servizio di una comunità o di un parroco o di un settore della pastorale, ma del Vescovo. Tale connessione con il Vescovo rende il diacono segno di quella universalità che non lo chiude nei confini di nessuna comunità, luogo, ambiente o persona, ma lo  porta sempre oltre, per offrire ovunque nel mondo il segno della chiesa universale » (cfr. Il Diaconato in Italia,  dic.1988, pag 83).

 

Ovviamente , tutto si alimenta, si rinnova e cresce a partire dall’Eucaristia, fonte e culmine  della vita cristiana. Significativa, al riguardo, la sottolineatura del compianto Mons. Agresti, al seminario Caritas della CEI sulla «Diaconia della carità» (1987) : «Direi che il servizio della carità del diacono permanente è… di ritorno, come insegnano le antichissime tradizioni, quando i doni per i poveri si portavano all’altare della celebrazione eucaristica del Vescovo, il quale dava ai diaconi il mandato di distribuirli ai poveri. Perciò si è detto giustamente che il ministero della carità del diacono comincia dall’altare. E’ frutto del ministero della Parola e del banchetto eucaristico, segno della ecclesialità dell’amore, del servizio di fede, nella fede, contro ogni interpretazione sociologica e mondana della carità ecclesiale».

Infine, siccome nella Chiesa apostolica la vita coniugale e familiare era parte integrante, quasi elemento paradigmatico per ogni altro servizio («se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?» cfr. I Tm.3,2.4-5.12), mentre oggi solo il diacono, tra gli ordinati, si trova in questa condizione particolare di grazia e di croce – per la difficoltà di armonizzare nella quotidianità la ricchezza e le esigenze  dei due sacramenti – ci sembra giusto considerare con attenzione il campo della famiglia, soggetto specifico e ad un tempo luogo privilegiato di apostolato, particolarmente idoneo al diacono permanente coniugato, in grado di sperimentare più direttamente certe situazioni di povertà materiale, morale e spirituale, e di poter avvicinare, con il sostegno della sposa e dei figli, persone e famiglie in difficoltà.

 

Siamo consapevoli, Eccellenza, che le modalità di attuazione pratica del Diaconato, nelle diverse Chiese, nelle Diocesi italiane, e all’interno di ognuna di esse, rivelano linee di sviluppo teologico-pastorale assai diverse, con luci e ombre evidenti, anche negli stessi criteri di discernimento e di formazione dei candidati al ministero.

Vorremmo segnalare, in proposito, quanto già don Altana, alla fine degli anni ’80, vedeva come duplice pericolo per il ministero diaconale (e non solo): quello del “funzionariato”, dove il diacono è impegnato nella esecuzione di servizi richiesti dalle strutture ecclesiali, considerate in modo statico; e quello del “clericalismo”, dove il diacono concepisce la sua appartenenza al clero come privilegio più che come servizio.

«La consapevolezza di questi pericoli è congiunta con la certezza che essi saranno superati nella misura in cui maturerà e si diffonderà la volontà comune di un cammino di rinnovamento profondo della vita ecclesiale” (don Altana, ibidem).

 

Noi vogliamo credere e sperare che il ministero diaconale potrà ancora e sempre maggiormente contribuire, anche nella nostra Diocesi, al rinnovamento della Chiesa, secondo lo spirito del Concilio. E riaffermiamo la nostra fede nella potenza della grazia dello Spirito Santo che non cessa di rinnovare la sua Chiesa.

 

 

 

 

Ci piace terminare questo nostro  contributo –  modesto, certamente non esaustivo – con le parole di Mons. Tonino Bello, scritte a Sergio Loiacono, il primo diacono permanente della Diocesi di Molfetta, ordinato da lui stesso, il 27 settembre1989:
«I religiosi ti sperimentino come provocazione alla totalità di una scelta, che è permanente, non tanto perché impedita di far passi in avanti, quanto perché esorcizzata dal pericolo di far passi all’indietro, con quelle quotidiane ritrattazioni di fedeltà che a poco a poco si rimangiano la bellezza del dono… I presbiteri ti accompagnino per leggere nella tua vita il filo rosso che deve attraversare tutto l’arco della loro esperienza sacerdotale: la completezza dell’offertorio, la stabilità della consacrazione, il servizio della comunione… E anche il tuo vescovo, invocando lo Spirito su di te, comprenda che il diaconato permanente, se è il gradino più basso nella gerarchia dell’ordine sacro, è, però, la soglia più alta che l’avvicina a Cristo, diacono di Jahvè”.

 

Le siamo grati, Eccellenza, per l’attenzione , le siamo vicini con la preghiera e l’affetto filiale e le chiediamo la sua benedizione.

 

 

Don Emanuele Benatti unitamente ai Servi della Chiesa, in particolare ai membri del Consiglio Generale (Luciano Lanzoni, don  Piergiorgio Saviola, don Daniele Simonazzi, Giovanni Dazzi) e alle Serve della Chiesa Giavanna Bondavalli e Maria Valeria Leuratti. Hanno inoltre direttamente collaborato e/o esplicitamente aderito alcuni sacerdoti, vari diaconi con le loro mogli e altri Christifideles laici. Tra di essi: Vittorio Cenini, don Antonio Davoli, don Paolo Cugini, don Luigi Gibellini (Fratello della Carità, miss in Brasile), Morani Lorenzo e Daniela (Casina), Braghiroli Francesco, Bertozzi Azio e Isabelle (Barco), Prodi Massimo e Caterina (Corticella), Bertani Alessandro e Chiara (Dinazzano), Ruini Mirco e Roberta (Sabbione), Semper Luciano e Francesca (Luzzara),  Castellari Danilo e Margherita (Gavasseto), i diaconi Antonio Ferretti, Giuseppe Piacentini, Giancarlo Rocchelli, Fabrizio Fusari, Davide Faccia, Simone Lusuardi, Giuseppe Bigi, Antonio Burani, Giancarlo Gandini, Alfredo Zannini …

Lettera al Vescovo Massimo (diaconato)

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